In questa rubrica ho voluto raccogliere una serie di schede didattiche a carattere storico, filosofico e politico, da utilizzarsi come supporto antologico per l'approfondimento di un determinato tema o argomento di studio: si tratta, com'è ovvio, di tematiche diverse e in molti casi antitetiche, come si conviene alla conoscenza e all'analisi  delle varie concezioni del mondo dell'umanità.

Con buona pace quindi del pensiero unico e dell'ideologia dominante, che dopo aver cancellato il passato vuole negarci anche il futuro: del presente, invece, non ne parliamo neanche…

Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole: la distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato.

(…) Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall'interesse immediato al loro interesse reale: essi possono far questo solamente se avvertono il bisogno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo.

È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di «distribuire dei beni» su scala sempre più ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell'uomo. (H. Marcuse, L'uomo a una dimensione)

Roma, 19 Marzo 2016

Diego Fusaro

 

 

1. Miseria del laicismo

UNA CRITICA DELLA VULGATA LAICISTA

DA UNA DELLE MENTI PIU' ACUTE DELL'ITALIA CONTEMPORANEA

di Diego Fusaro


Il primo gesto filosofico consiste sempre nell’esercizio del dubbio, vuoi anche nella cartesiana forma “iperbolica”, rispetto ai luoghi comuni e alle verità inerzialmente ammesse dai più. Il cosiddetto "laicismo" può, a giusto titolo, costituire un fecondo luogo di esercizio del dubbio filosofico. Il laicismo – vera e propria religione del nostro tempo – si presenta infatti urbi et orbi come ideologia neutra e avalutativa, che assume come scopo primario la liberazione dell’uomo dalle visioni assolutistiche, quando non fondamentalistiche, e dunque anzitutto da quelle religiose.

È questa, salvo errore, la cifra del laicismo da Paolo Flores D’Arcais a Eugenio Scalfari, da Michel Onfray a Piergiorgio Odifreddi, giusto per citare i principali esponenti di questo "neoilluminismo" che si autocelebra come il fronte più avanzato dell’emancipazione. Per essere dunque il più sintetico e il più chiaro possibile, il laicismo è assai peggio del male che aspirerebbe a curare. E perché? Per il fatto che, contestando tutti gli Assoluti che non siano quello immanente della produzione capitalistica, il laicismo integralista si pone come il completamento ideologico ideale del dilagante fanatismo economico, in cui l’Economist diventa l’Osservatore Romano della globalizzazione capitalistica, e le leggi imperscrutabili del Dio monoteistico divengono le inflessibili leggi del mercato mondiale. In questo, il laicismo rivela la sua natura di "fondamentalismo illuministico", svuotato della sua nobile funzione emancipativa (à la Voltaire, per intenderci) e ridotto a semplice funzione espressiva del capitale e delle sue lotte contro ogni divinità non coincidente con il mercato.

Per gli odierni corifei del laicismo, instancabili lavoratori presso la corte del re di Prussia, la sottomissione alla superstizione religiosa dev’essere destrutturata, in modo che domini incontrastata la sola superstizione economica. L’obbedienza servile dev'essere riservata unicamente all’economia, alle “sfide della globalizzazione”, all’insindacabile giudizio del mercato, al vincolo del debito e alla dittatura delle agenzie di rating. L’essenza intimamente teologica del nuovo ordine della produzione – il nomos dell’economia – affiora eminentemente dalla sua pretesa assolutistica di esaurire il senso delle cose, ponendosi come fondamento incondizionato del reale e del simbolico, coartando gli uomini a praticare un culto ignaro e alienato al cospetto della propria forza associata e, al tempo stesso, disgiuntasi da loro e tale da non venir più riconosciuta nella sua reale configurazione di prodotto storico della prassi oggettivata. Forse che l’Assoluto del nostro tempo non è il monoteismo del mercato? Forse che la teologia del nostro tempo non è l’economia, ossia la teologia della disuguaglianza sociale? Per i laicisti no, il problema è sempre e solo il Dio trascendente, è sempre e solo il fanatismo della religione tradizionale. È il capitale stesso che deve delegittimare, del resto, ogni religione che non sia il monoteismo del mercato: qui emerge chiaramente il ruolo di instancabili lavoratori presso la corte del re di Prussia dei fanatici del laicismo.

Il vero dilemma del nostro tempo non sta, infatti, nell’ennesima riproposizione di un illuminismo che contesti le divinità trascendenti: è questo, per inciso, l’ostinato orizzonte illuministico di una sterminata galassia di testi recenti – come il Traité d’athéologie, del 2005, di Michel Onfray –, che già ai tempi di Feuerbach sarebbero stati considerati “superati”. Al contrario, ciò di cui più si avverte il bisogno, oggi, è un nuovo illuminismo che contesti incondizionatamente l’Assoluto capitalistico e l’esistenza di presunte leggi economiche oggettive della produzione, sottoponendo a critica l’onnipervasivo monoteismo del mercato senza per questo cadere nell’elogio nostalgico dei comunismi novecenteschi. Mi si permetta di concludere sostenendo senza remore che, supporto ideale per l’universalizzazione della forma merce, il laicismo si configura oggi come l’involucro ideologico per la globalizzazione, per il liberalismo e per la santificazione del monoteismo del mercato.

Per questo, se mi si definisce laico, respingo garbatamente la definizione.

Diego Fusaro, 3 giugno 2013
http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/miseria-del-laicismo-10881.html

 

 

2. Riflessioni sull'Italia di oggi

SEMBRA POLITICA MA E' FILOSOFIA, SEMBRA FILOSOFIA INVECE E' POLITICA: 
UNA VOCE FUORI DAL CORO

di Diego Fusaro


Renzi e Tsipras, due facce della stessa medaglia


INTERVISTA A DIEGO FUSARO

La sinistra si batte ancora per i diritti sociali o si è ridotta alla sola rivendicazione dei cosiddetti nuovi diritti (riconoscimento di genere, matrimoni omosessuali e così via)?

Oggi l’ideologia gender non ha più nulla a che fare con le rivendicazioni per l’emancipazione femminile, intendendo le donne come parte del genere umano, fatto di individui liberi ed eguali. Oggi sopravvive solo un certo individualismo femminista che vuole di fatto l’equiparazione agli uomini sul piano dell’ipercapitalismo, con l’introduzione piena nel sistema flessibile-precario del capitale e quindi la questione femminile è utilizzata dal capitalismo stesso per abbassare i costi dei salari, contribuendo alla mercificazione dell’uomo. E’ come se l’emancipazione della donna si riduca al passare dal burqa islamico alla minigonna occidentale, ma la donna di oggi non è affatto emancipata: è reificata. Marx diceva che il grado di emancipazione di una donna è un indice per misurare il grado di emancipazione della società, quindi possiamo dire che oggi la società stessa è reificata e alienata. La sinistra utilizza le rivendicazioni femministe, così come le rivendicazioni omosessuali, per nascondere il fatto che non si batte per i diritti sociali e contro il sistema capitalistico. Per una figura come Nichi Vendola, l’emancipazione non è più la dignità del lavoro, i diritti degli ultimi, la crescita sociale, ma il non plus ultra è il matrimonio omosessuale. Questo è un occultamento delle vere priorità. L’obiettivo nascosto è la distruzione della famiglia borghese, insopportabile per il capitalismo perchè è una comunità: Aristotele diceva che l’uomo non nasce come individuo, con buona pace della Thatcher e dei liberisti contemporanei. L’uomo nasce in una comunità che è la famiglia e se la logica del capitalismo è la distruzione di ogni comunità e l’enfatizzazione del singolo individuo-consumatore, risulta ovvio che il capitalismo punti a distruggere la famiglia. In fondo lo sta facendo da decenni, con le ideologie sessantottine prima (non a caso i sessantottini a loro insaputa sono stati gli utili idioti del capitale), fino ad oggi, a maggior ragione con le spinte verso un individualismo estremo tramite i generi.

La disoccupazione giovanile è ben oltre il quaranta per cento, ma in Italia viene abolito il reato di immigrazione clandestina, mentre un approccio critico agli enormi flussi migratori cui siamo soggetti è nella maggior parte dei casi additato come razzismo.

Si tratta di un problema delicato, ma in primo luogo bisogna non curarsi del "politicamente corretto", evitando però i due opposti: quello del razzismo xenofobo che rigetta l’idea stessa di immigrato e quella che Hegel chiamava la pappa del cuore delle "anime belle" che fanno l’elogio aprioristico dell’immigrazione, osannata in quanto tale. E’ chiaro che il singolo immigrato che arriva in condizioni disperate, in quanto parte dell’umanità, va accolto e trattato nel modo migliore, ma l’immigrazione in quanto tale è un fenomeno artatamente gestito dalle politiche neoliberali e ultracapitalistiche, a cui non interessa integrare il migrante, ma al contrario interessa usare il migrante per rendere migranti anche noi. Questo sistema punta a metterci nelle stesse condizioni dei migranti, senza diritti, senza lavoro fisso, senza dignità e la possibilità di rivendicare i nostri diritti. L’uso della forza-lavoro immigrata serve al capitale come esercito industriale di riserva, come avrebbe detto Marx: grazie agli immigrati si riesce ad abbassare il costo del lavoro in occidente. In Italia ad esempio, tramite l’esercito industriale di migranti disposti a fare tutto per salari bassissimi, anche gli italiani vengono costretti a fare altrettanto. Lo scopo del capitale non è quindi integrare i migranti, ma disintegrare gli autoctoni, facendoli diventare come migranti. Pertanto, si può affermare che oggi chi critica il capitalismo senza dire niente sull’immigrazione sia un perfetto imbecille, come del resto è un imbecille chi critica l’immigrazione senza dire nulla sul capitalismo. La soluzione al problema dell’immigrazione è la lotta contro il capitale.

Qual è il suo modello di Europa?

L’Europa che sogno, fedele agli insegnamenti di Kant, Marx e Gramsci, è un’Europa dei popoli, liberi, fratelli, democratici, uguali, in cui ciascuno mantenga la propria cultura, tradizione, lingua, usi e costumi. Esattamente l’opposto dell’odierna Unione Europea, che è un pervertimento del progetto originario: non a caso nell’UE, tramite la violenza economica, si riproducono i soprusi che nel novecento si erano realizzati in forma politica e militare. Oggi il rapporto tra la Germania e la Grecia è di servitù e signoria, come direbbe Hegel, dove i greci sono asserviti, tramite la violenza economica, ai tedeschi. Non c’è più il carro armato, ma c’è il Fiscal Compact, il debito in sostituzione del fucile, lo spread in luogo del cannone: la realtà è che oggi, tramite l’Unione Europea, domina il liberismo selvaggio. Il capitalismo ha operato fin dal ‘68 per rimuovere l’etica borghese del padre, della madre, della famiglia e della religione; in seguito si è proceduto a rimuovere la forza che storicamente ha resistito al capitale: l’Unione Sovietica, che pur con tutti i suoi limiti, aveva frenato lo sviluppo del cattivo infinito capitalistico; e da ultimo bisognava rimuovere gli stati nazionali sovrani con primato della politica sull’economia. Ecco lo scopo celato dietro la costituzione dell’Unione Europea, in cui non c’è più la politica, ma la volontà insindacabile dei mercati, che io chiamo "monoteismo del mercato". Riprendere il progetto di lotta al capitale oggi, significa lottare contro l’Unione Europea dell’Euro, della finanza, del precariato e del Fiscal Compact. Questo, per me, vuol dire essere allievi di Gramsci e di Marx nel nostro presente, come ho chiarito nel mio libro “Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo” (Bompiani).

Ha ancora senso, nel 2014, la critica al capitalismo? Verso quale forma politico-economia potrebbe virare il mondo, secondo lei?

Io credo in un "comunitarismo cosmopolitico", che significa superare intanto l’odierno individualismo selvaggio che il neoliberismo produce, superando anche il comunismo novecentesco che produceva una comunità senza gli individui e le comunità senza spirito universalistico delle destre. Il comunitarismo da me teorizzato vede il perfetto equilibrio tra individuo e comunità: penso a delle comunità con una propria lingua, tradizione e cultura, al cui interno gli individui siano solidali, fratelli, liberi e tali da riconoscersi come parte di un’unica struttura sociale. CosÌ le varie comunità nel mondo dovrebbero riconoscersi reciprocamente, nonostante le loro differenze, come appartenenti al genere umano. Il capitalismo invece vuole livellare le differenze del mondo intero, ponendo come unico modello quello del consumatore anglofono, succube del mercato, che crede alle leggi della finanza e dellospreade non più in Dio. E’ un modello contro cui combattere per fare salve le differenze e le peculiarità , lottando per una comunità equa e solidale. Herder diceva che la pluralità dei popoli è il modo in cui Dio si manifesta nella storia: trovo splendida quest’espressione. Il genere umano è uno e, insieme, esiste nella pluralità dei popoli e delle tradizioni, delle lingue e delle culture.

Lei crede in Dio?

Mi ritengo un allievo di Hegel, in questo. Egli diceva che la religione coglie l’aspetto dell’assoluto come la filosofia, ma lo coglie in una forma rappresentativa meno adeguata. Io credo nell’assoluto, ma lo onoro facendo filosofia: la vita è spirito, la realtà è spirito, come dicevano sia Gentile che Hegel;  Gentile in un suo bel discorso, intitolato “La mia religione”, diceva proprio questo.
Nel dibattito tra l’armata brancaleone dei laicisti alla Odifreddi, Flores d'Arcais, Scalfari, e i teologi come Ratzinger o lo stesso papa Francesco, io sto dalla parte dei teologi. Oggi l’ateismo è una forma dell’individualismo assoluto, non avendo nulla a che fare con la scientificità. L’individualizzazione assoluta serve a togliere Dio, che significa togliere quel riflesso alla comunità di credenti che amano Dio, cosÌ come si amano fra loro, come dice il Vangelo di Matteo: ama Dio e ama il prossimo tuo. Togliere Dio significa lasciare l’individuo in balia di se stesso. Dio è pur sempre immagine dell’unità della comunità dei credenti liberi e uguali, che si sanno figli di Dio. Il Vangelo di Matteo, non a caso, esorta ad amare Dio e, insieme, il prossimo.

Ci dia la sua visione del centrodestra italiano, forse per la prima volta nella crisi peggiore dal ‘94 ad oggi.

Anche la destra ha il suo serpentone metamorfico, che porta dal grande Giovanni Gentile a personaggi come Gianfranco Fini, con meta finale l’adattamento al regime capitalistico, che oggi è condiviso ugualmente a destra come a sinistra, per cui chi le sta parlando non si riconosce in nessuno dei due schieramenti, ma solo negli insegnamenti di Marx, di Hegel e di Gramsci.
L’ascesa di Berlusconi è da inquadrare nel contesto del colpo di stato giudiziario di Mani Pulite nel ‘92. Si tratta di un momento di svolta che doveva aprire a liberalizzazioni e privatizzazioni selvagge nel nostro paese. Berlusconi in seguito è stato fatto fuori dall’Europa perchè non era considerato “abbastanza” rispetto al piano di svendita che era stato previsto per l’Italia, ma questo non vuol dire che egli fosse un socialista odioso alla UE in quanto tale. Dopo di lui infatti sono arrivati personaggi dal mio punto di vista molto più esecrabili, come Monti e Letta. Berlusconi è servito come alibi alla sinistra, per cambiare il proprio profilo identitario, passando dall’anticapitalismo all’anti-berlusconismo, montando un teatrino che ha tenuto prigioniera la politica italiana per vent’anni. Me ne tiro fuori. Credo che il centrodestra e il centrosinistra oggi siano assolutamente intercambiabili, avendo la stessa visione del mondo e lo stesso approccio a capitalismo e mercati. La strada da percorrere è quella che va oltre gli odierni schieramenti. Se destra e sinistra dicono lo stesso, allora occorre congedarsene e riprendere la via della lotta contro il capitale in difesa dell’emancipazione umana.

Una terza via?

Una prima via, quella di Gramsci e di Marx, il cui pensiero è stato tradito, ma non sono per un ritorno a Marx sia chiaro, bensì per una ripartenza. Non a caso nel 2009 ho scritto “Bentornato Marx”, in cui spiego che bisogna sganciare il filosofo dalla sinistra e dal marxismo. Marx non ha responsabilità per quello che in suo nome è stato fatto nel novecento: egli non era di destra o di sinistra, ma era sicuramente un anticapitalista che lottava per l’emancipazione del genere umano e per una comunità universale di liberi e uguali. Bisogna unire le forze per spegnere l’incendio capitalistico, senza curarsi della provenienza dei pompieri. Più dell’incendio occorre spegnere la dismisura (ubris),  diceva l’antico Eraclito.


Diego Fusaro, 7 Giugno 2014

http://meridianamagazine.org/20140607/lo-studioso-di-marx-renzi-e-tsipras-due-facce-della-stessa-medaglia/

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