Questa rubrica contiene articoli e interventi miei o altrui a carattere culturale, artistico e spirituale, volti a definire dei possibili spunti di ricerca e di riflessione nei diversi campi del pensiero umano, come una sorta di pars costruens intorno ad argomenti di particolare interesse, in essa variamente rappresentati: i miei sono firmati tramite data e indirizzo web a fondo pagina, gli altri hanno l'indicazione dell'autore o del sito relativo subito dopo il titolo.

L'importanza della cultura e dell'arte nella ricerca spirituale del nostro tempo appare del resto centrale per la formazione di una coscienza individuale e collettiva, poiché ci fornisce un'immagine chiara di ciò che pensano, dicono o fanno gli esseri umani intorno a noi: dopodiché, fermarsi a tal punto e accontentarsi di ciò può essere inutile e fuorviante, poiché ci dà l'illusione che una comprensione mentale della realtà sia di per sé sufficiente a cambiarla - il che non è vero, come ben tutti sappiamo.

Ma senza un'analisi a monte e uno studio condotto anche sul piano intellettuale non è comunque possibile andare molto lontano, perché si rischia di rimanere inchiodati a banalità di ogni tipo, di cui il nostro tempo è un esempio: quindi è auspicabile unire fra loro la mente e il cuore, la fede e la scienza, l'intuizione e il pensiero per dedicarci umilmente alla ricerca interiore, senza pregiudizi né veti posti a sbarrarci la strada.

E' questo infatti lo scopo di questa rubrica: per essere pronti ad agire, quando il momento verrà.

L'unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano azioni. (Ezra Pound)

Roma, 13 Settembre 2013

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Il Corano e la guerra

Categoria: Risonanze Mercoledì, 23 Marzo 2016 Scritto da Wikipedia Stampa Email

"COMBATTETE CHI VI COMBATTE, MA SENZA ECCESSI, PERCHE' DIO NON AMA GLI ECCESSI" (CORANO, 2: 190) *

Nella speranza di sfatare gli equivoci sul vero senso degli insegnamenti coranici, riportiamo di seguito una voce tratta da Wikipedia - molto ben fatta e obiettiva - sulla tematica del Jihad secondo la tradizione islamica. Affinché ciascuno possa farsi un'idea.


Jihad
 è un termine nel linguaggio dell'Islam che connota un ampio spettro di significati. Letteralmente significa "sforzo", individua cioè lo slancio per raggiungere un dato obiettivo e può fare riferimento allo sforzo spirituale del singolo individuo per migliorare se stesso.

Nella dottrina islamica indica quindi tanto lo sforzo di miglioramento del credente (il «jihad superiore») - soprattutto intellettuale, rivolto per esempio allo studio e alla comprensione dei testi sacri o del diritto - quanto la guerra condotta «per la causa di Dio», ossia per la difesa e l'espansione dell'Islam al di fuori dei confini del mondo musulmano (il «jihad inferiore»).

Nel mondo occidentale la traduzione di jihad esclusivamente come "guerra santa" è dunque fuorviante, perché ci porta a equivocare il vero significato del termine.

 

  • Storia

 

L'interpretazione militante del  jihād dello Shaykh al-Azzām descrive il "jihād offensivo" come una campagna che può essere dichiarata solo da un'autorità musulmana legittima e legale, tradizionalmente il califfo. Secondo questa interpretazione, nessuna autorità è richiesta per intraprendere il "jihād difensivo", poiché, secondo questa opinione, quando i musulmani vengono attaccati, diventa automaticamente obbligatorio per tutti i maschi musulmani in età militare, entro un certo raggio dall'attacco, prendere le difese.

La questione di quale autorità musulmana, ammesso che ve ne sia, possa adempiere doveri come dichiarare il jihād è divenuta problematica da quando, il 3 marzo 1924, Kemal Atatürk abolì il califfato, che i sultani ottomani detenevano dal 1517. Non esiste oggi un'unica autorità politica costituita che governi la maggioranza del mondo musulmano. A causa della mancanza di organizzazione ecclesiastica all'interno della vasta maggioranza dei musulmani, qualsiasi aderente può autoproclamarsi 'ālim (esperto in materia di religione) e proclamare un jihād offensivo per mezzo di una fatwā. Il riconoscimento è a discrezione di colui che riceve il messaggio.

In assenza di un Califfo, i soli leader politici islamici di fatto sembrerebbero essere i governi dei moderni stati-nazione musulmani emersi dagli sconvolgimenti della prima parte del XX secolo. Comunque, a causa dell'alleanza e della sudditanza degli Stati-nazione secolari e pseudo-democratici o monarchici del Vicino e Medio Oriente alle superpotenze economiche e militari mondiali non islamiche, Stati Uniti, Europa e Russia, i militanti islamisti reputano che gli Stati-nazione moderni emersi a metà XX secolo siano non-islamici e non rappresentativi di società islamiche. Il secolarismo infatti è ampiamente percepito dagli islamisti militanti come rappresentativo di interessi politici americani ed europei ostili all'Islam.

Di conseguenza, movimenti islamisti (come al-Qā'ida e Hamās) si sono assunti il compito di proclamare il jihād, scavalcando l'autorità tanto degli Stati-nazione quanto degli esperti religiosi tradizionali. Analogamente, alcuni musulmani (specialmente i takfiristi) hanno dichiarato il jihād contro specifici governi che percepiscono come corrotti, oppressivi e anti-islamici.

 

  • Fondamento del concetto

 

Durante il periodo della rivelazione coranica, allorché Maometto si trovava a La Mecca, lo jihād si riferiva essenzialmente alla lotta non violenta e personale, quindi a quello sforzo interiore necessario per la comprensione dei misteri divini. In seguito al trasferimento (Egira) da La Mecca a Medina nel 622 e alla fondazione di uno Stato islamico, il Corano (22:39) autorizzò il combattimento difensivo.

Il Corano iniziò a incorporare la parola qitāl (combattimento o stato di guerra) per scopo difensivo:

« Combattete contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi, perché Allah non ama coloro che eccedono. » (Corano 2:190)

« Se vi assalgono uccideteli, se però cessano allora Allah è perdonatore. » (Corano 2:191-192)

« Combatteteli finché non ci sia più persecuzione. » (Corano 2:193)

 

  • Interpretazione

 

Tra i seguaci dei movimenti liberali interni all'Islam, l'interpretazione di questi versi è quello di una specifica "guerra in corso" e non una serie di precetti vincolanti per il fedele.

Questi musulmani "liberali" tendono a promuovere una comprensione dello jihād che rigetti l'identificazione dello jihād con la lotta armata, scegliendo invece di porre in risalto principi di non-violenza. Tali musulmani citano la figura coranica di Abele a sostegno della credenza per cui chi muore in conseguenza del rifiuto di usare violenza può ottenere perdono dei peccati.

Nonostante le interpretazioni posteriori di queste porzioni del Corano, i passaggi in questione sottolineavano chiaramente, all'epoca, l'importanza dell'autodifesa nella comunità musulmana.

I musulmani spesso si rifanno a due significati di jihād citando un hadīth riportato dall'imām Bayhaqī e da al-Khatīb al-Baghdādī, benché il suo isnād (la catena di tradizioni che può ricondurre sino alle parole di Maometto) sia classificato come "debole":

- "grande jihād (interiore)" – lo sforzo per autoemendarsi, contrastando le pulsioni passionali dell'io;

- "piccolo jihād (esteriore)" – uno sforzo militare, cioè una guerra legale; da esercitarsi solo in caso di attacco personale.

Altri esempi di azioni che potrebbero essere considerati jihād (sulla base di hadīth con migliore isnād) includono:

- parlare francamente contro un governante oppressivo ("Sunan" di Abū Dāwūd, libro 37, numero 4330);

- andare in Ḥajj (pellegrinaggio a Mecca) – per le donne, questa è la migliore forma di jihād ("Sahīh" di Bukhārī, volume 2, libro 26, numero 595);

- prendersi cura dei genitori anziani, come il profeta Maometto ordinò di fare a un giovane, invece di unirsi a una campagna militare (narrato da Bukhari, Muslim, Abu Dawud al-Sijistani,al-Tirmidhī e al-Nasā'ī).

Il significato più letterale di jihād è tuttavia, semplicemente, "sforzo", e così è talvolta soprannominato lo "jihād interiore". Lo "jihād interiore" si riferisce essenzialmente a tutti gli sforzi che un musulmano potrebbe affrontare aderendo alla religione.

Per esempio, uno studio erudito dell'Islam è uno sforzo intellettuale cui qualcuno può fare riferimento come "jihād", benché non sia comune per uno studioso dell'islam di fare riferimento ai suoi studi come "impegnarsi in uno jihād". Inoltre, esiste una dimensione del grande "jihād" che include motivi personali ineludibili, desideri, emozioni, e la tendenza a garantire il primato a piaceri e gratificazioni terrene.

La tradizione di identificare lo sforzo interiore come "grande jihād" (cioè non militare) pare essere stato profondamente influenzato dal sufismo, un movimento mistico interno all'Islam antico e diversificato.

Sia per i musulmani, sia per i non musulmani, gli attacchi dei militanti sotto l'egida dello jihād possono essere percepiti come atti di terrorismo. Due gruppi islamisti si chiamano "jihād islamico": l'Egyptian Islamic Jihad e il Palestinian Islamic Jihad. I fiancheggiatori di questi gruppi percepiscono una giustificazione religiosa forte per un'interpretazione militante del termine jihād quale risposta adeguata all'occupazione israeliana della Cisgiordania (o "West Bank", all'inglese) e della Striscia di Gaza.

I musulmani credono che un posto in Paradiso (Ǧanna) sia assicurato a colui che muore come parte in lotta contro l'oppressione in qualità di shahīd (martire, cioè testimone). Descrizioni del Paradiso, nell'Islam come nel Cristianesimo, sono intrinsecamente problematiche. Considerazioni negli hadīth e nel Corano circa le ricompense spettanti allo shahīd — i settantadue "puri spiriti" conosciuti come Huri, i fiumi che scorrono, l'abbondanza di freschi frutti — possono, a seconda delle prospettive, essere considerati realtà letterali o metafore per un'esperienza trascendente l'umana espressione.

Anche qualora la morte di un martire in un'operazione militare sia sicura, gli islamisti militanti considerano l'atto un martirio anziché un suicidio. Qualora musulmani non combattenti periscano in tali operazioni militari, i militanti considerano queste persone shahīd, anch'essi con un posto assicurato in paradiso. Stando a questa concezione, solo il nemico kāfir, o i miscredenti, ricevono danno dalle operazioni di martirio.

La maggioranza degli eruditi islamici rigetta tuttavia questa interpretazione. Il suicidio è un peccato nell'Islam. La dottrina maggioritaria degli studiosi discorda dall'approccio militante islamista in materia, e ritiene che le operazioni di martirio siano equivalenti al peccato di suicidio, che uccidere civili sia un peccato e che la Sunna (il costume, la "Retta Via") non permetta né l'uno né l'altro. Per questi studiosi, e per la vasta maggioranza dei musulmani, né le missioni suicide né gli attacchi ai civili sono considerati legittime conseguenze dello jihād.

Praticamente tutti i musulmani, tuttavia, ritengono che la legittima difesa dell'Islam comporti ricompense nell'Altra Vita. La base dello shahīd può essere rintracciata nelle parole di Maometto prima della battaglia di Badr, quando disse:

« Giuro in Colui che nelle mani trattiene l'anima di Maometto che Allah farà entrare in Paradiso chiunque oggi li [i nemici] combatterà e sarà ucciso soffrendo nella dura prova e ricercando il piacimento di Allah, procedendo e non retrocedendo. » (Maometto)

 L'illiceità di operazioni di bombe-suicide è suggerita dal seguente hadith:

« Chiunque deliberatamente si getti da una montagna uccidendosi, starà nel Fuoco (nell'Inferno islamico), eternamente cascandovi dentro e rimanendovi in perpetuo; e chiunque beva veleno per uccidersi lo porterà con sé e lo berrà nel Fuoco, dove rimarrà per sempre; e chiunque si uccida col ferro porterà con sé quell'arma e con essa si pugnalerà l'addome nel Fuoco dove rimarrà in eterno. » (Bukharī (7:670))

Le organizzazioni militanti islamiste non costituiscono uno Stato autonomo o un'autorità di fatto; nondimeno esse considerano i bersagli economici come obiettivi militari, citando come prova le numerose incursioni carovaniere (vedi la Battaglia di Badr per una descrizione di tale incursione, e della guerra cui condusse). Resta il fatto, comunque, che la tradizione islamica più antica proibisce espressamente di attaccare donne, bambini, anziani ed edifici civili nel corso di una campagna militare. Il Corano, l'indiscutibile fonte di autorità nell'Islam, vieta l'uccisione di innocenti. Tuttavia, il divieto di uccidere non è assoluto, poiché viene posta una condizione:

« Chiunque uccida una persona – a meno che essa non stia per uccidere una persona o per creare disordine sulla Terra – sarà come se uccidesse l'intera umanità; e chiunque salvi una vita, sarà come se avrà salvato la vita di tutta l'umanità. » (Corano (5:32))

In base a questo verso del Corano, se un essere umano non ha ucciso un'altra persona o creato conflitto o disordine nel mondo è da considerarsi innocente. Ucciderlo sarebbe l'equivalente di un massacro dell'intera razza umana, un delitto inconcepibilmente barbaro e un peccato enorme. Per una parte dei musulmani questo verso è decisamente abbastanza chiaro da togliere ogni dubbio o ambiguità sul rango morale degli attacchi contro civili.

 

  • Tipologie

 

Jihād difensivo

La maggioranza dei musulmani considera la lotta armata contro l'occupazione straniera o l'oppressione da parte di un governo interno degne di jihād difensivo. In effetti, sembra che il Corano richieda la difesa militare della comunità islamica assediata.

In epoca coloniale le popolazioni musulmane insorsero contro le autorità coloniali sotto la bandiera dello jihād (gli esempi includono il Daghestan, la Cecenia, la rivolta indiana contro la Gran Bretagna (moti indiani del 1857, altrimenti chiamati dai britannici mutiny, cui peraltro parteciparono in maggioranza gli Hindu) e la guerra d'indipendenza algerina contro la Francia). In questo senso, lo jihād difensivo non è diverso dal diritto di resistenza armata contro l'occupazione, che è riconosciuto dall'ONU e dal diritto internazionale.

La tradizione islamica ritiene che quando i musulmani vengono attaccati diventi obbligatorio per tutti i musulmani difendersi dall'attacco, partecipare allo jihād. Quando l'Unione Sovietica invase l'Afghanistan nel 1979, l'eminente militante islamico 'Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām (che influenzò in modo determinante Ayman al-Zawāhirī e Usāma bin Lāden) emise una fatwā chiamata "Difesa delle terre islamiche, il primo dovere secondo la Legge", dichiarando che tanto la lotta afghana quanto quella palestinese erano jihād nelle quali l'azione militare contro i kuffār (miscredenti) sarebbe stata farḍ 'ayn (obbligo personale) per tutti i musulmani. L'editto fu appoggiato dal Gran Mufti dell'Arabia Saudita, 'Abd al-'Azīz Bin Bazz.

Nella fatwa, 'Azzām spiegò:

« ... gli 'ulamā' [studiosi religiosi] dei quattro madhāhib [le scuole di giurisprudenza religiosa] (malikiti, hanafiti, sciafeiti e hanbaliti), i Muhaddithūn (studiosi dei hadīth e i commentatori del Corano (Mufassirūn, da tafsīr, "esegesi") concordano che in tutte le epoche islamiche il jihād in queste condizioni diventa fard 'ayn (obbligo individuale) per i musulmani del luogo in cui gli infedeli hanno attaccato e per i musulmani più prossimi, per cui i fanciulli agiranno senza il permesso dei genitori, la moglie senza il permesso del marito e il debitore senza il permesso del creditore.

E se i musulmani di questo luogo non sono in grado di espellere gli infedeli per mancanza di forze, perché sono distratti, perché sono indolenti o semplicemente non agiscono, allora il farḍ 'ayn si diffonde radialmente dai più vicini ai più prossimi. Se anch'essi si distraggono o, ancora, gli uomini scarseggiano, allora spetta marciare al popolo loro accanto, e al popolo successivo a quest'ultimo. Il processo continua finché diventi farḍ 'ayn per il mondo intero. » ('Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām, fatwā Difesa delle terre islamiche, il primo dovere secondo la Legge)

Benché tali editti di eruditi contemporanei possano influenzare alcune comunità di credenti, il miliardo e duecento milioni di musulmani odierni è così diversificato che l'azione unificata riguardo ad istruzioni come questa è, in pratica, impossibile da conseguire.

 

Jihād offensivo

 

Lo Jihad offensivo è l'intraprendere una guerra di aggressione e conquista contro i non-musulmani al fine di sottomettere questi e i loro territori al dominio islamico. Secondo numerose interpretazioni tra cui la Encylopedia of the Orient, "il jihād offensivo, cioè l'aggressione, è pienamente ammesso dall'islam sunnita", ma al contrario del jihād difensivo non vi è alcun obbligo di partecipazione da parte dei singoli fedeli musulmani, ma solo della comunità islamica nel suo insieme. Un teologo islamico considerato il padre del moderno movimento islamista, 'Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām, dichiarava nella fatwā "Difesa dei territori islamici: il primo obbligo secondo la fede":

« Lo jihād contro gli infedeli è di due tipi: il jihād offensivo (dove il nemico è attaccato sul suo territorio)... [e] il jihād difensivo. Questo consiste nell'espulsione degli infedeli dalla nostra terra, ed è fard 'ayn [obbligo religioso personale per ciascun musulmano], un dovere assolutamente obbligatorio...

Laddove gli infedeli non si uniscono per combattere i musulmani, combattere diventa farḍ kifāya [obbligo religioso per la società musulmana] col requisito minimo di arruolare fedeli a guardia delle frontiere, e di inviare un esercito almeno una volta all'anno a terrorizzare i nemici di Allah.

È dovere dell'imam radunare e inviare un'unità dell'esercito nella Casa della guerra (Dār al-ḥarb [le terre non musulmane]) una o due volte all'anno. Inoltre, assisterlo è responsabilità della popolazione musulmana e se egli non invia un esercito commette peccato. (…) » ('Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām, fatwa Difesa dei territori islamici: il primo obbligo secondo la fede)

I musulmani che non aderiscono a questa interpretazione militante dello jihād mettono in dubbio la necessità e l'obbligazione dello jihād offensivo in epoca contemporanea. Essi argomentano che la tradizionale "Casa della guerra" riportata nella fatwa dello Shaykh al-'Azzām:

« ... si riferisce ai regimi ostili e agli imperi che circondavano le prime comunità islamiche. Secondo questa interpretazione, lo jihād offensivo era praticato solo al fine di preservare l'Islam dalla distruzione, ed è oggigiorno obsoleto. »

A sostegno di questo punto di vista, coloro che rigettano l'Islamismo militante tendono a opporsi all'affermazione secondo cui l'Islam nel suo complesso è oggetto di attacco ostile. Pur riconoscendo tanto le turbolenze politiche che le sofferenze, essi fanno notare che i pellegrini musulmani vanno e vengono a loro piacimento al pellegrinaggio annuale del Ḥajj, che la libertà religiosa dei musulmani di praticare la loro fede esiste in moltissimi paesi e che numerose comunità islamiche sono emerse in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Essi propendono a porre in risalto, inoltre, tradizioni islamiche a sostegno della tolleranza per altri gruppi religiosi e sociali.

Invece l'interpretazione militante del jihād è propensa a suggerire una visione del mondo in cui forze ostili anti-islamiche impediscono oggigiorno all'Islam di realizzare il suo pieno potenziale per un'espansione globale pacifica — una visione del mondo in cui l'Islam sarà alla fine adottato dall'intera umanità se queste forze ostili verranno affrontate socialmente e militarmente.

Questo stesso conflitto tra due punti di vista può essere visto come "lotta", o jihād, per l'anima dell'Islam contemporaneo.

 

da Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Jihad

 

* L'acutizzarsi del terrorismo islamista in seguito agli eventi di Bruxelles rende più che mai necessaria una riflessione complessiva del ruolo dell'Islam nella società contemporanea, oltre che una specifica conoscenza dell'idea di Jihad e di Qital secondo i principi originari del Sacro Corano: ogni altro discorso a riguardo è inutile e lascia il tempo che trova, non basandosi su una conoscenza specifica di tale tradizione ma solo su pregiudizi generici, più o meno fondati, oltre che ovviamente sullo sconcerto e la rabbia provocate da questi terribili episodi di violenza cieca.

Speriamo dunque di aver contribuito in qualche modo, con l'inserimento di questo articolo nella nostra rubrica, a una conoscenza maggiore dell'argomento secondo i principi tradizionali dell'Islam, affinché non si aggiunga al danno la beffa di una miscomprensione e banalizzazione di massa rispetto a tematiche piuttosto complesse e delicate, che meritano senz'altro ben altra considerazione e attenzione.

Tutto ciò, ovviamente, per quanti abbiano un interesse sincero per la spiritualità islamica: per la malafede ideologica, invece, non c'è nulla da fare. (PGZ)