Questa rubrica contiene articoli e interventi miei o altrui a carattere culturale, artistico e spirituale, volti a definire dei possibili spunti di ricerca e di riflessione nei diversi campi del pensiero umano, come una sorta di pars costruens intorno ad argomenti di particolare interesse, in essa variamente rappresentati: i miei sono firmati tramite data e indirizzo web a fondo pagina, gli altri hanno l'indicazione dell'autore o del sito relativo subito dopo il titolo.

L'importanza della cultura e dell'arte nella ricerca spirituale del nostro tempo appare del resto centrale per la formazione di una coscienza individuale e collettiva, poiché ci fornisce un'immagine chiara di ciò che pensano, dicono o fanno gli esseri umani intorno a noi: dopodiché, fermarsi a tal punto e accontentarsi di ciò può essere inutile e fuorviante, poiché ci dà l'illusione che una comprensione mentale della realtà sia di per sé sufficiente a cambiarla - il che non è vero, come ben tutti sappiamo.

Ma senza un'analisi a monte e uno studio condotto anche sul piano intellettuale non è comunque possibile andare molto lontano, perché si rischia di rimanere inchiodati a banalità di ogni tipo, di cui il nostro tempo è un esempio: quindi è auspicabile unire fra loro la mente e il cuore, la fede e la scienza, l'intuizione e il pensiero per dedicarci umilmente alla ricerca interiore, senza pregiudizi né veti posti a sbarrarci la strada.

E' questo infatti lo scopo di questa rubrica: per essere pronti ad agire, quando il momento verrà.

L'unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano azioni. (Ezra Pound)

Roma, 13 Settembre 2013

www.pierluigigallo.org

L'Aleph

Categoria: Risonanze Mercoledì, 23 Agosto 2017 Scritto da J.L.Borges Stampa Email

Siamo il nostro ricordo, un museo immaginario di mutevoli forme, mucchio di specchi rotti.
(J.L.Borges, Elogio dell’ombra)


Chiusi gli occhi, li riaprii. Allora vidi l’Aleph.

(…) Nella parte inferiore della scala, sulla destra, vidi una piccola sfera cangiante, di quasi intollerabile fulgore. Dapprima credetti ruotasse; poi compresi che quel movimento era un’illusione prodotta dai vertiginosi spettacoli che essa racchiudeva.

Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse. Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da tutti i punti dell’universo.

Vidi il popoloso mare, vidi l’alba e la sera, vidi le moltitudini d’America, vidi un’argentea ragnatela al centro d’una nera piramide, vidi un labirinto spezzato (era Londra), vidi infiniti occhi vicini che si fissavano in me in uno specchio, vidi tutti gli specchi del pianeta e nessuno mi rifletté, vidi in un cortile interno di via Soler le stesse mattonelle che trent’anni prima avevo viste nell’andito di una casa di calle Fray Bentos, vidi grappoli, neve, tabacco, vene di metallo, vapor d’acqua, vidi convessi deserti equatoriali e ciascuno dei loro granelli di sabbia, vidi a Inverness una donna che non dimenticherò, vidi la violenta chioma, l’altero corpo, vidi un tumore nel petto, vidi un cerchio di terra secca in un sentiero, dove prima era un albero, vidi in una casa di Adrogué un esemplare della prima versione inglese di Plinio, quella di Philemon Holland, vidi contemporaneamente ogni lettera di ogni pagina (bambino, solevo meravigliarmi del fatto che le lettere di un volume chiuso non si mescolassero e perdessero durante la notte), vidi insieme il giorno e la notte di quel giorno, vidi un tramonto a Querétaro che sembrava riflettere il colore di una rosa nel Bengala, vidi la mia stanza da letto vuota, vidi in un gabinetto di Alkmaar un globo terracqueo posto tra due specchi che lo moltiplicano senza fine, vidi cavalli dalla criniera al vento, su una spiaggia del mar Caspio all’alba, vidi la delicata ossatura d’una mano, vidi i sopravvissuti a una battaglia in atto di mandare cartoline, vidi in una vetrina di Mirzapur un mazzo di carte spagnolo, vidi le ombre oblique di alcune felci sul pavimento di una serra, vidi tigri, stantuffi, bisonti, mareggiate ed eserciti, vidi tutte le formiche che esistono sulla terra, vidi un astrolabio persiano, vidi in un cassetto della scrivania (e la calligrafia mi fece tremare) lettere impudiche, incredibili, precise, che Beatriz aveva dirette a Carlos Argentino, vidi un’adorata tomba alla Chacarita, vidi il resto atroce di quanto deliziosamente era stata Beatriz Viterbo, vidi la circolazione del mio oscuro sangue, vidi il meccanismo dell’amore e la modificazione della mort, vidi l’Aleph, da tutti i punti, vidi nell’Aleph la terra e nella terra di nuovo l’Aleph e nell’Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere, vidi il tuo volto, e provai vertigine e piansi, prché i miei occhi avevano visto l’oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha contemplato: l’inconcepibile universo.

Sentii infinita venerazione, infinita pena.

(…) Voglio aggiungere due osservazioni: una, sulla natura dell’Aleph; l’altra, sul suo nome.

Questo, com’è noto, corrisponde alla prima lettera dell’alfabeto della lingua sacra. La sua applicazione nell’ambito della mia storia non sembra casuale. Per la Cabala, quella lettera rappresenta l’En Soph, l’illimitata e pura divinità; fu anche detto che essa ha la figura d’un uomo che indica il cielo e la terra, per significare che il mondo inferiore è specchio e mappa del superiore; per la Mengelehre, è il simbolo de numeri transfiniti, nei quali il tutto non è maggiore di alcuno dei suoi componenti.

(…) I fedeli che si recano alla moschea di Amr, al Cairo, sanno bene che l’universo è racchiuso nell’interno di una delle colonne di pietra che circondano il cortile centrale… Nessuno, certo, può vederlo, ma chi accosta l’orecchio alla superficie afferma di percepire, dopo un po’, il suo incessante rumore… La moschea è del secolo VII; le colonne provengono da altri templi di religioni preislamiche, giacché come ha scritto Abenjaldùn: “Nelle repubbliche fondate da nomadi, è indispensabile l’opera di forestieri per quanto è art muraria”.

Esiste codesto Aleph all’interno di una pietra? L’ho visto quando vidi tutte le cose, e l’ho dimenticato? La nostra mente è porosa per l’oblio; io stesso sto deformando e perdendo, sotto la tragica erosione degli anni, i tratti di Beatriz.

Jorge Luis Borges, L’Aleph (1949)