Musica dal Profondo.
Il Suono come Esperienza Animica

(ciclo seminari 1994-95)


(
daP.Gallo, Musica dal Profondo: il Suono come Esperienza Animica, Roma 1995)

Seminario introduttivo:
la dimensione magica, la dimensione contemplativa, la dimensione psichica

(24.09.1994)


L'arte non è l'imitazione della vita,
ma la vita è l'imitazione di un principio trascendente
col quale l'arte ci rimette in comunicazione.1

 

Con l’incontro odierno iniziamo il nostro ciclo annuale di seminari, dal titolo Il Suono come Esperienza Animica; oggi tuttavia non tratteremo alcun argomento specifico, ma compiremo solo una panoramica introduttiva sugli scopi di questo corso e presenteremo i vari temi trattati nei diversi incontri monografici che, di qui alla fine dell'anno, si susseguiranno ogni mese.

Il Centro Ricerche Musica dal Profondo si occupa del suono come espressione animica: quello che a noi interessa approfondire e ricercare (e la denominazione "Centro Ricerche"è in questo senso molto appropriata) è appunto la natura del suono e dell’esperienza acustica, prima ancora che musicale, intesa come espressione di aspirazioni interiori, di stati di coscienza, di una ricerca compiuta dall’uomo per entrare in contatto con un qualcosa, per così dire, di “ignoto”.

Jung infatti diceva: qualcuno lo chiama Demone, qualcun altro lo chiama Dio, io preferisco chiamarlo Inconscio. Personalmente preferisco a mia volta chiamarlo ignoto,nel senso letterale di "non noto", di non conosciuto, di qualcosa che attrae l’anima umana e che resta però sempre nascosto; gli stessi mistici dicono infatti che più ci si addentra nella ricerca, più ci si addentra nella conoscenza del Divino, e più l’orizzonte si allarga e si allontana, divenendo sempre più ignoto, sempre più misterioso.

Questa ricerca dell’ignoto si esprime nelle diverse tradizioni in modi diversi, partendo da una primitiva sfera magica fino ad arrivare a dimensioni sempre più evolute e complesse, attraverso le quali, nel corso dell’evoluzione umana, l’esperienza animica si manifesta in tutta una serie di gradazioni e di livelli successivi, da intendersi non tanto in senso qualitativo (nel senso che uno sia meglio dell’altro) quanto piuttosto progressivo, una serie di livelli di coscienza nei quali il successivo porta con sé l’esperienza del precedente.

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Avete visto, a questo proposito, come nel titolo dell’incontro di oggi siano presenti questi tre termini, dimensione magica, dimensione contemplativa, dimensione psichica: si tratta di definizioni di comodo, che ci permettono tuttavia di orientarci meglio all’interno di questo percorso evolutivo, nel corso del quale opereremo delle semplificazioni estreme, necessarie però per permetterci una comprensione diretta di queste tematiche piuttosto complesse.

Ora, la "dimensione magica" dell’esperienza animica la ritroviamo soprattutto in quelle popolazioni - primitive e non - nelle quali il rapporto dell’anima con l’ignoto è inserito all’interno dell’indefinita sfera del “magico”, delle misteriose corrispondenze e identità fra l’uomo e la natura; invece quella che abbiamo definito come "dimensione contemplativa" è una prerogativa delle religioni delle cosiddette “civiltà superiori”, nelle quali si è passati da un’economia di caccia e raccolta a un’economia agricola e pastorale, attraverso la quale le popolazioni diventano stanziali e compare nella società una gerarchia civile, miltare e religiosa. In questo tipo di ambiente culturale, e a questo livello animico, il rapporto con il Divino è vissuto infatti a un livello più sottile, non più basato sulla ricerca di un’esperienza magica bensì su quella di un'esperienza di interiorizzazione, di contemplazione e di devozione, le cui tappe sono ben precise e definite, che rappresenta in un certo senso il vertice, l’essenza stessa delle esperienze religiose tradizionali.

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Cosa sta succedendo invece in questo secolo, diciamo dalla metà dell’Ottocento in poi? Nel mondo occidentale, ma non solo in esso (pensiamo infatti anche all’India, nella quale troviamo fin dal secolo scorso dei discorsi di superamento della religione tradizionale molto interessanti), non è più sufficiente la religione così com’è, anzi molto spesso essa perde di significato; compare allora la ricerca di un qualcosa di ignoto, ignoto anche a colui che sta cercando, e questa ricerca viene compiuta attraverso l'immersione in una dimensione per così dire “psichica”.

Ecco allora tutto il risveglio dello psichismo in Occidente, sia a livello esoterico che a livello artistico, ecco l’esigenza di riuscire a comunicare in modo diverso, non più attraverso un linguaggio razionale fatto di parole o di concetti, ma attraverso l’espressione di stati psichici interiori.

Tutto ciò si manifesta soprattutto in campo artistico, dove più intensa è la ricerca e la sperimentazione: pensiamo, ad esempio, alle ricerche compiute da Wagner e da Kandinskj verso una “forma d’arte totale”, nella quale non basta più la musica da sola, la danza da sola o la pittura da sola, non basta più il teatro, la parola, il mimo o il movimento, ma c’è questa ricerca di un’arte globale, “olistica”, che le comprenda tutte; oppure pensiamo a un artista come Lindsay Kemp (è solo un esempio fra i tanti), con questi suoi movimenti molto lenti, che mimano e rappresentano situazioni dove non esiste più il racconto, non c’è più una trama logica o narrativa, ma c’è l’espressione di stati psichici interiori che devono essere comunicati all'esterno.

In questa ricerca molti artisti e intellettuali vanno a scoprire i linguaggi espressivi di altre tradizioni, ed ecco allora la riscoperta del teatro balinese, dei gamelan, del kathakali indiano, tutte forme d’arte nelle quali le varie discipline artistiche sono fuse insieme alla ricerca di un linguaggio "sinestetico" globale: l’arte del nostro tempo va infatti verso la ricerca di un linguaggio per così dire “psichico”, non più basato sull’espressione di sentimenti, di emozioni, di concetti, quanto verso una forma di comunicazione di tipo intuitivo, arazionale o forse piuttosto “metarazionale”.

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Perché dunque questo tipo di ricerca e questo tipo di impostazione, nel nostro lavoro? Perché in Occidente, allo stato attuale della nostra civiltà e della nostra cultura, ci troviamo dal punto di vista artistico in una strada apparentemente senza uscita, ci troviamo in una condizione di enorme stasi creativa, soprattutto nel campo dell’ispirazione artistica, in cui è presente a tutti i livelli una grossa crisi dei linguaggi artistici, che è in definitiva crisi dell’ispirazione stessa, mancando la quale c’è di conseguenza anche una crisi dell’espressione che da essa deriva.

Per quanto riguarda il mondo occidentale ci troviamo infatti in una condizione in cui i linguaggi artistici e musicali del passato sono arrivati a esprimere tutto ciò che potevano esprimere, e hanno raggiunto un punto limite, un punto di saturazione: agli inizi del nostro secolo è dunque incominciato, in tutte le varie forme d’arte, un grosso lavoro di ricerca e di sperimentazione, che prosegue ancora oggi, investendo tutti i campi espressivi ma senza portare frutto, poiché ancora non si intravede all’orizzonte una nuova forma di linguaggio artisticoche non si limiti all’aspetto formale ed estetico. Tutte le ricerche artistiche contemporanee, infatti, si limitano al piano della forma.

Che cosa succede, ad esempio, in campo musicale? Succede che molti musicisti occidentali si rivolgono alle tradizioni musicali extraeuropee, di altre culture e civiltà (pensiamo ad esempio al fenomeno della cosiddetta world music, in cui compaiono musicisti occidentali che suonano insieme a musicisti orientali, alla ricerca di un linguaggio musicale comune); questo è un fenomeno molto interessante, però ci troviamo ancora nell’ambito della forma, di una ricerca formale, estetica, operata attraverso un discorso di imitazione.

Di solito questa ricerca è operata in campo improvvisativo, di questa improvvisazione che in Occidente è stata sempre messa da parte nel campo della musica colta e che in questo secolo sta invece incominciando a venir fuori per altre vie: così, un jazzista si unisce con un musicista indiano, arabo o pakistano, e con essi compie una sperimentazione, fondendo fra loro linguaggi musicali diversi. I risultati di queste sperimentazioni sono senz'altro molto interessanti, ma ancora non siamo arrivati alla meta finale di suonare, di comporre e di esprimersi fondendo fra loro non tanto gli aspetti formali o estetici delle diverse musiche e culture, quanto piuttosto trovando un punto di contatto profondo in comune, una sorgente ispirativa comune.

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E questo non accade solo nella musica, ma anche in altri campi. Pensiamo ad esempio alla ricerca spirituale e all'esperienza religiosa in generale: in Occidente, ad esempio, il rapporto delle persone con le istituzioni religiose non è affatto semplice, poiché attraverso di esse molto spesso non passano più delle reali esperienze interiori o, se passano, si tratta di fenomeni piuttosto marginali.

Ecco allora che compare la ricerca di altre tradizioni, di altre vie, di altre culture: d’altra parte chi ha fame da qualche parte deve mangiare, quindi o mangia nel piatto che ha davanti oppure, se in quel piatto non c’è cibo, deve rivolgersi altrove per alimentarsi. Ed ecco allora che ci si rivolge alle tradizioni degli altri popoli, cosa questa peraltro giustissima perché ci porta a conoscere dimensioni che non conoscevamo, ma che può trasformarsi, nella nostra ansia di trovare una fonte immediata di alimentazione, in una adesione incondizionata a tradizioni più o meno esotiche, che vengono letteralmente “comprate” e importate in Occidente, come un qualsiasi altro prodotto di consumo (pensiamo all’India, all’Islam, al Buddhismo, alla new age, ecc.).

Questo è il motivo per cui, anche nel campo della ricerca interiore, tutto rimane separato, frazionato: non è ancora comparso, infatti, quel canale, quell’onda che riesca a unire fra loro le varie esperienze, le varie espressioni spirituali, culturali e artistiche. E questo perché in realtà un vero discorso di ricerca artistica, animica e spirituale deve partire non tanto dalla forma, quanto piuttosto dall’esperienza interiore: esperienze comuni portano infatti a espressioni, a manifestazioni e a linguaggi comuni. Per questo noi ritroviamo, ad esempio, delle incredibili concordanze nella mistica delle diverse tradizioni religiose: ciò accade perché l’esperienza è quella, e si esprime in ciascuna tradizione secondo il linguaggio che le è proprio, ma l’esperienza è quella ed è comune a tutte.

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Che cosa ci proponiamo di fare, dunque, nel corso di questo ciclo di incontri? Come avete visto dal programma il nostro sarà un viaggio sonoro, possibilmente anche visivo (attraverso la proiezione di diapositive e di filmati), una specie di full immersion nelle diverse tradizioni spirituali e musicali dell’umanità, partendo dalle popolazioni primitive, da un livello di coscienza di tipo primitivo, per arrivare fino ai giorni nostri e affacciarci così sul futuro.

Attualmente, infatti, si parla molto di "arte della nuova era", di new age,ma questa new age sembra essere qualcosa che non arriva mai, qualcosa che sta sempre lì lì per arrivare, ma intanto il mondo va sempre peggio; noi pensiamo invece che questa nuova era arriverà senz’altro (e forse ci siamo già, anche se non ce ne rendiamo conto), però bisogna costruirla, bisogna lavorare per far sì che questo nuovo piano di coscienza possa realizzarsi e possa prendere piede: non è qualcosa che possa accadere da sé, perché a un certo punto arriva la fatina Turchina con la bacchetta magica e tutti diventano buoni, tutti si amano, amano la natura, ecc.

Non è così: ci sono infatti, sotto gli occhi di tutti, delle situazioni nel mondo che sono estremamente critiche, estremamente cariche di drammaticità, situazioni che non possono e non devono essere rimosse, ma che vanno assolutamente affrontate: e una spiritualità, una cultura, una civiltà che vogliano porsi come elemento di trasformazione devono tener conto di tutte queste componenti, non possono rifugiarsi in un immaginario limbo paradisiaco.

Questo vuol dire dunque che il linguaggio artistico, spirituale e animico di una ipotetica “nuova coscienza planetaria” deve avere la forza di proporsi e di imporsi sulla vecchia, altrimenti tutto ciò diventa un illusorio canto delle sirene, intonato mentre la nave si inabissa.

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Tutto ciò è evidentemente molto importante anche dal punto di vista musicale, perché la produzione musicale new age che comunemente si trova in commercio presenta un vasto campionario di cosiddette “musiche per meditazione”che, pur avendo l’indubbio merito di diffondere tra il grande pubblico delle sonorità che perlomeno non sono aggressive, nevrotiche o paranoiche come la grande maggioranza della musica di consumo che ci circonda, rimangono però sempre a un livello molto superficiale: ciò che infatti viene presentato come "musica per meditazione" molto spesso non è altro che un insieme di sonorità più o meno gradevoli, che possono senz’altro favorire un certo rilassamento psicofisico, ma che lì si fermano.

Noi dobbiamo invece cercare di capire che la musica è qualcosa che ha una sua effettiva forza creativa, una sua reale forza espressiva, e questo deve essere ben compreso, altrimenti ci troviamo a fraintendere molte cose: se noi infatti, in questo nostro viaggio, ascoltiamo i suoni rituali e cerimoniali che le varie tradizioni religiose dell’umanità hanno prodotto attraverso i secoli, ci accorgiamo che in queste cerimonie accade molto spesso di tutto tranne che qualcosa di soporifero, di rassicurante o di regressivo a un livello infantile: accadono infatti situazioni che pongono le persone di fronte a un’esperienza.

Gli aborigeni australiani, per esempio, quando suonano gli strumenti cerimoniali della loro tradizione totemica hanno tutta una ritualità estrememente complessa, in cui l’esperienza del “numinoso” e dell’ignoto è un evento nel quale la persona è completamente coinvolta, ma anche dal quale è completamente travolta: perché per loro si tratta veramente di entrare in un’altra dimensione, di sprofondarsi in quello che essi chiamano il “Tempo del Mito e del Sogno”.

In questo caso quest’esperienza è ritualizzata, mentre in Occidente questa ritualizzazione è assente; il nostro problema consiste infatti nel non aver più alcun contatto con queste tradizioni, nel non aver più alcuna tradizione all’interno della quale poterci inserire, e nel dover quindi sperimentare e ricercare a destra e a sinistra, senza però sapere, molto spesso, dove andare a parare. Invece il discorso vero è quello di compiere un'esperienza diretta, individuale e immediata (nel senso di "non mediata").

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Questo nostro viaggio si svilupperà dunque attraverso varie tappe. Nella prima parte, dedicata alla dimensione magica, partiremo dalla conoscenza degli strumenti rituali dei popoli primitivi per passare poi alle civiltà precolombiane, all’Estremo Oriente e al concetto di mantra nella tradizione indotibetana, che rappresenta in un certo senso un punto di passaggio dalla dimensione magica a quella contemplativa (pensiamo al tantrismotibetano, frutto dell’unione fra il Buddhismo e la preesistente tradizione sciamanica locale, il Bön-Po).

Successivamente passeremo invece alla dimensione contemplativa, rivolgendo la nostra attenzione all’India, al sufismo islamico, all’Oriente cristiano (la cui profonda spiritualità è per noi pressoché sconosciuta), per giungere infine al Medioevo latino, che rappresenta nella storia della Cristianità il periodo in cui si è maggiormente espressa nella civiltà occidentale una dimensione mistica ed esoterica della spiritualità e dell’arte.

Passeremo poi a un ulteriore ciclo di quattro incontri dedicato alla tradizione europea, che per noi, perlomeno a livello di cultura dominante, è una tematica ormai totalmente rimossa: vi sono invece, nella nostra tradizione, alcune “pietre angolari”, alcuni segni precisi lasciati attraverso i secoli, alcuni fili perduti che vanno ripresi, conosciuti e sperimentati, e sui quali bisogna lavorare e cominciare a compiere delle ricerche serie e profonde (naturalmente compiremo tutte queste nostre indagini sempre attraverso la musica, la quale ci porterà per così dire la voce, il suono, la “risonanza” di queste tematiche e di queste tradizioni).

Ad esempio, nella nostra tradizione vi è tutto il discorso della filosofia pitagorico-platonica, della cosiddetta "Armonia delle Sfere", che è un po' come la new age di cui parlavamo prima: tutti ne parlano, ma nessuno sa cosa sia veramente. In questa tradizione è presente, viceversa, tutto un insieme di rapporti e relazioni fra la musica, la matematica, la geometria, l’astrologia e l’astronomia, che erroneamente pensiamo sia prerogativa esclusiva del pensiero induista o cinese, mentre fa parte della storia della filosofia europea in maniera molto seria e precisa.

C’è poi l'importante questione della cosiddetta “civiltà mediterranea”, anch'essa piuttosto negletta e rimossa dalla cultura europea dominante: ai giorni nostri abbiamo infatti una divisione Est-Ovest, che sta sempre più diventando una divisione Nord-Sud, ma nell’antichità non era così. Dall’ellenismo fino alla caduta dell’Impero Romano (e oltre) il Mediterraneo costituiva un’area culturale, spirituale, filosofica e religiosa omogenea, e i popoli che si affacciavano sul suo bacino erano fra loro strettamente collegati; addirittura si arrivava fino alla Persia e all’India (com'è testimoniato, ad esempio, da personaggi come Apollonio di Tiana o dalla storia dei Re Magi), e vi era uno stretto collegamento fra tutte queste regioni.

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Infine passeremo, attraverso i quattro incontri conclusivi, a trattare il tema della ricerca musicale contemporanea in Occidente, affrontando inizialmente le tematiche relative alla cosiddetta “musicoterapia”, che sono spesso piuttosto confuse: nelle pubblicazioni relative alla musicoterapia si parla infatti spesso, come mezzi e strumenti di guarigione psicofisica, di strumenti rituali primitivi ed extraeuropei (quali le trombe tibetane, i gong di pietra, i didjeridu australiani, ecc.), ma quando poi andiamo ad ascoltare gli esempi musicali presentati nei CD allegati troviamo Vivaldi, Boccherini e Haydn. Niente da dire evidentemente su Vivaldi, ma ci troviamo di fatto di fronte a un divario profondo: dov’è questa musica terapeutica del nostro tempo, questa musica rituale dei giorni nostri, se da una parte facciamo riferimento alle tradizioni antiche delle culture extraeuropee e dall’altra portiamo come esempi di analoghe esperienze occidentali dei brani di musica classica o barocca? Evidentemente c’è una frattura, c’è un vuoto da riempire: e questo vale anche per quelle esperienze musicali e terapeutiche che prevedono l'uso dei suoni armonici, sia vocali che strumentali (come il massaggio sonoro o il canto armonico), che vengono intesi quasi esclusivamente come mezzi per ottenere una sorta di "rilassamento profondo", ma che non vanno oltre.

Quando parliamo di musicoterapia ci troviamo infatti spesso di fronte a un campo estremamente confuso: non si sa bene che cosa significhi musicoterapia, perché in definitiva non si sa neanche bene che cosa significhi “terapia”. L’obiettivo di una terapia è infatti il raggiungimento di un generico “star bene”, di una generica “armonizzazione” con noi stessi, oppure quello di una effettiva guarigione? E le due cose coincidono necessariamente fra loro? Queste sono solo due fra le numerose domande che si possono porre in questo campo, alle quali cercheremo in qualche modo di dare una risposta.

Concentreremo poi la nostra attenzione sulle tematiche relative al canto armonico vero e proprio, una tecnica di canto basata sull'emissione e sull’utilizzo degli armonici vocali, che si sta diffondendo sempre di più in Occidente grazie alle sue multiformi caratteristiche: questo unirsi fra loro degli armonici in termini quasi casuali, eppure sempre collegati a una struttura acustica e matematica precisa, crea infatti una musica a carattere improvvisativo, non mentalizzata e quasi non voluta, che per così dire “viene da sé”, autogenerandosi mediante una sorta di partenogenesi, come se noi stendessimo della sabbia per terra, chiudessimo la luce e poi, dopo aver cantato ed eventualmente “meditato”, la riaprissimo, trovandovi su impresse delle orme.

Questo esempio, semplice ma efficace, ci aiuta a intuire poeticamente che cosa può succedere quando ci si accosta in tal modo a un discorso di ritualità profonda, e non semplicemente di imitazione o di forma: non si tratta infatti di usare le trombe tibetane per “fare i tibetani” o di danzare in cerchio per “fare i dervisci”, ma di riuscire a trovare una forma d’arte e di spiritualità che sia nostra, di riuscire a farla emergere, a farla venir fuori, di riuscire a scavare un pozzo per trovare l’acqua. Quando questo accade allora c’è veramente una “presenza” che arriva e che si viene a creare, una presenza di carattere animico: i termini psiche e anima sono infatti sinonimi, e in greco sono espressi dalla stessa parola, psyché, che ha anche il significato di “farfalla”, simbolo dell’arte.

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Voglio concludere a questo punto questo primo incontro introducendo un concetto a parer mio estremamente importante, che ci accompagnerà lungo tutto il percorso da noi compiuto nei prossimi mesi: quello cioè della voce umana come specchio dell’anima, come veicolo di coscienza.

Il canto ha infatti la proprietà di trasmettere quel medesimo stato di coscienza dal quale esso stesso ha avuto origine. Un canto gregoriano, ad esempio, è cantato da monaci che vivono tutta la loro vita (o perlomeno dovrebbero) in una certa condizione interiore: il loro canto, di conseguenza, è espressione di questo loro stato interiore, proviene da lì, e provenendo da lì ci comunica, se sappiamo ascoltarlo e se sappiamo sintonizzarci su quella lunghezza d’onda, quella stessa vibrazione interiore. Per questo è importante un lavoro di recupero di musiche e di sonorità dimenticate, perché in questo modo può passare una vibrazione che altrimenti resterebbe muta. Attraverso l’arte possono infatti passare dei messaggi che altrimenti resterebbero inesprimibili; una persona può leggere ad esempio venti libri sulla filosofia del Buddhismo tibetano e non capirci assolutamente niente, e poi ascoltare cinque minuti di mantra o di cerimonie tantriche e sciamaniche e riuscire a creare immediatamente il contatto.

Ciò non vuol dire, evidentemente, che sia sufficiente questo per conoscere una tradizione o approfondirne la spiritualità, ma solo che è importante creare questo contatto, è importante che le energie girino, che le tradizioni cantino, che risuonino, che venga recepita una vibrazione: questo vale sia per quanto riguarda le tradizioni primitive e le tradizioni orientali, sia soprattutto per quanto riguarda la nostra tradizione (io batto sempre su questo punto, perché secondo me è importantissimo, è fondamentale, tutto quanto ruota intorno a ciò).

D’altra parte in tutte le diverse tradizioni religiose il suono, la musica e l’arte in genere sono impiegate per permettere agli individui di fare un’esperienza di tipo mistico (quando non addirittura iniziatico), e in tale contesto il loro scopo non è estetico ma, per così dire, “estatico”: non l’arte per l’arte dunque, ma l’arte come esperienza animica.

Il mistero del suono è chiamato Misticismo
e l’armonia della vita è Religione.
La conoscenza delle vibrazioni è chiamata Metafisica
e l’analisi della scienza degli atomi,
e il loro armonioso raggrupparsi, è l’Arte.
Il ritmo della forma è poesia e il ritmo del suono è musica.
Questo sottolinea che la musica è l’arte delle arti e la scienza di tutte le scienze
e che contiene, in se stessa,
la sorgente di tutta la conoscenza.
2


Roma, Novembre 1994
 

 

1. A.ARTAUD, Oeuvres complètes, Gallimard, Paris 1956-66, t.IV, p.310, in A.ARTAUD, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 1968., p.X

2. HAZRAT INAYAT KHAN, Il misticismo del suono, p.85