Introduzione a Speculum Aevi


(dal seminario Musica dal profondo, l'essenza della musica e l'evoluzione spirituale dell'uomo,
in P.Gallo, Musica dal Profondo: il Suono come Esperienza Animica, Roma 1995)

(…) Concludo dunque a questo punto il parlato e passo a introdurre l’ascolto di una musica da me composta, cui vi avevo accennato in precedenza: si tratta in realtà di una musica che ha avuto una genesi piuttosto strana, perché è nata originariamente per una installazione sonora, per accompagnare una mostra di arti visive, in particolare per una scultura in pietra, ma poi si è trasformata in tutt’altra cosa.

In principio avevo infatti in mente un certo tipo di musica, ma poi è venuta fuori tutt’altra cosa, attraverso una lunga e laboriosa gestazione al termine dalla quale ho avuto un sogno, che voglio raccontarvi per darvi un’idea del tipo di dimensione che si è espressa con questa musica.

Ero andato alla SIAE per depositare questa composizione musicale, e arrivato allo sportello vidi che l’impiegata mi porgeva una valigetta da medico, dicendomi: “Dottor Gallo, c’è qui la sua valigetta con gli strumenti; qualcuno l’ha lasciata per lei”. Io obiettavo dicendo di essere un musicista e non un medico, e che ero venuto per depositare la mia composizione e che quella valigetta non era mia, ma l’impiegata insisteva, dicendo: “Le assicuro, dottore, questa è la sua valigetta, e questo è il suo camice; anzi, qui c’è pronto anche il suo disco, già stampato. Lo prenda!”. Mi porse quindi un disco dal titolo Speculum Aevi (questo era infatti il titolo della scultura), con sotto scritta la frase working out, che in inglese significa “risolvere un problema”, sbloccare una situazione, sciogliere un nodo.

Al mattino ho compreso quel che il sogno mi voleva far capire, e cioè che, anche se mi stavo accostando a quest’esperienza in senso musicale, cioè con un’aspettativa di tipo artistico e musicale, dovevo comprendere il significato terapeutico profondo di questa musica, e accostarmi ad essa in termini di terapia - non tanto verso gli altri, quanto innanzitutto verso me stesso. Sono io stesso infatti che con questa musica ho come sbloccato qualcosa, ho come risolto qualcosa di interiore; in quel periodo stavo infatti attraversando un momento difficile, uno di quei momenti in cui sei un po' con le spalle al muro, e di conseguenza o scavalchi il muro o non ti muovi di lì. Quindi la musica è venuta in mio aiuto, proprio come l’alleato di don Juan.

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Effettivamente si tratta di una musica piuttosto strana, che in un certo senso vive di vita propria, e ogni volta che la si ascolta è come se si esprimesse di volta in volta in forma diversa, a seconda dello stato psichico dei partecipanti: è infatti uno strano pezzo, che si trasforma a seconda delle situazioni in cui si ascolta. Essa ovviamente ha anche un valore semplicemente estetico (per il quale si tratterà di musica più o meno bella o brutta), ma questo non costituisce secondo me il suo aspetto più rilevante.

Ad esempio ho un altro brano fermo in cantiere da due anni, che non riesco a far andare avanti perché ho capito che esso rappresenta un altro punto di svolta per la mia vita, in cui deve comparire come un canto antico, dimenticato: però finché non sarò arrivato a vibrare a quel livello, finché la mia vita stessa non sarà entrata in risonanza con quella dimensione (vedete quanto è importante in questo senso il concetto di risonanza, di ispirazione?) questo pezzo resterà fermo lì ad aspettare.

La tecnica compositiva usata è stata quella di mettere insieme dei suoni e degli strumenti che fossero fra loro omogenei e compatibili, non solo fisico ma anche metafisico, non solo in senso acustico ma anche in senso simbolico e rituale, ad esempio associando strumenti “di terra” con altri strumenti “di terra”, strumenti “di acqua” con strumenti “di acqua”, ecc., e mettendo tutto sulle varie piste. La composizione vera e propria viene poi fuori al momento del mixaggio, nel corso del quale è come se avessi a disposizione un’intera orchestra e dovessi a quel punto dirigerla. Il problema a questo punto sta infatti nell’effettuare il mixaggio nel modo giusto, perché non si tratta tanto di un mixaggio timbrico, di livelli di volume o di semplici assolvenze e dissolvenze a carattere estetico, ma di un atto creativo vero e proprio; per questo pezzo ho infatti dovuto rifare il mixaggio tre volte, tre volte di panico vero e proprio, perché mi trovavo nella stessa situazione di un alchimista all’atanor, al forno, e dovevo regolare tutte le “temperature” sonore affinché non si freddasse troppo la soluzione o non si bruciasse tutto .

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In questo brano sono presenti anche i canti delle balene, che hanno un ruolo fondamentale per tutta la durata del pezzo: anche qui ho un aneddoto da raccontare. La prima volta, infatti, che ho fatto ascoltare pubblicamente questo pezzo è stato cinque anni fa, in occasione di un seminario su Musica e Meditazione nei Secoli (che ha costituito il momento iniziale delle attività del nostro Centro), tenutosi presso il Centro Internazionale di Pastorale della Preghiera, diretto dal padre Mariano Ballestrer, questo sacerdote gesuita, vero e proprio contemplativo dei nostri giorni, di cui vi ho spesso parlato a proposito delle realtà contemplative contemporanee presenti all’interno della Chiesa cattolica; in quell’occasione egli mi chiese di introdurre la mia composizione attraverso una breve lettura biblica, e una volta aperta a caso la Bibbia è venuto fuori proprio il passo di Giona nel ventre della balena, dove egli dice: “dal profondo del mare ti ho invocato, o Signore, mentre ero scaraventato in fondo all’oceano, avvolto dalle alghe, scacciato da ogni consesso umano: ma io ho ricordato Te, e Tu mi hai ascoltato” (cfr. Gn 2,3-10).

Ricordarsi il Nome del Signore nel momento in cui ci si trova ad attraversare i terrori del Bardo rappresenta infatti la quintessenza di ogni tradizione esoterica e spirituale: ciò è rappresentato nella tradizione cristiana dai tre giorni di Cristo nel sepolcro, dei quali l’episodio di Giona nella balena rappresenta il simbolo.

Tutti gli strumenti che ho usato hanno del resto un proprio simbolismo preciso, legato alla morte e alla rinascita, sia a livello individuale che universale e cosmico: la conchiglia ad esempio rappresenta le anime dei morti, che soffiano dentro di essa, il gong rappresenta il battito del cuore, la pulsazione eterna dell’universo, e lo stesso canto dell’Om è fortemente collegato con il momento stesso della Creazione. Tutte le cosmologie delle diverse tradizioni, indistintamente, rappresentano infatti il momento della Creazione con un simbolismo acustico o sonoro, un simbolismo “pneumatico”, legato al respiro: ci troviamo quindi di fronte a una medesima intuizione, espressa in forme diverse, che si manifesta e si concretizza nei rispettivi strumenti rituali.

Io però non ho usato questi strumenti intenzionalmente, non ho mentalizzato il loro simbolismo ma li ho semplicemente lasciati liberi di risuonare, ed essi mi hanno trascinato con loro; quale sia il risultato estetico di questa operazione non sta a me giudicarlo, ma dal punto di vista animico e spirituale questo brano rappresenta per me un punto centrale, rappresenta il vero momento della nascita di una mia “musica dal profondo”.

Essa coincide esattamente con quella che gli esoteristi acquariani della scuola di Baba Bedi definiscono "musica psichica", alla quale faremo riferimento in altra sede dedicandole a suo tempo l'approfondimento dovuto: io l'ho chiamata a mia volta "musica dal profondo", perché essa non è venuta a me attraverso un atto di volontà ma è emersa spontaneamente dal profondo, senza che io ne fossi cosciente, caricandosi di contenuti biblici e spirituali in modo del tutto inconsapevole.

Che la vogliate chiamare dunque musica psichica o musica dal profondo, vi lascio a questo punto all’ascolto di questa musica, e con ciò vi saluto caldamente e vi dò appuntamento all’anno prossimo.

Roma, 06.05.1995