In principio


PROVIAMO UN PO' A CAPIRCI QUALCOSA DI QUESTO STRANO UNIVERSO CHE CI CIRCONDA


In principio Dio creò il cielo e la terra,
e la terra era informe e vuota, e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
(Genesi 1)


Tutte le cosmogonie delle grandi religioni parlano di un Dio creatore che dà vita all'universo, secondo un progetto ben definito e preciso: le cose, tuttavia, potrebbero essere un po' più complesse.

Pur senza infatti negare la possibilità di un polo esterno trascendente (sulla cui reale natura sto indagando ormai da molto tempo, senza riuscire a trovare il bandolo della matassa), esiste secondo me, nella sfera del manifesto, una sorta di energia spirituale immanente (che gli idealisti chiamano "spirito") che tende, hegelianamente parlando, a diventare autocosciente, "producendo coscienza" attraverso un percorso continuo di materializzazione dialettica e di passaggio incessante attraverso forme di vita diverse, che consentono l'evoluzione della materia, del creato, degli individui e di Dio stesso.

Questa energia spirituale immanente (chiamiamola provvisoriamente così, senza ulteriori definizioni) attraversa e percorre in tal modo l'intera evoluzione cosmica, autocreandosi e autogenerandosi continuamente, e si manifesta e si concretizza nell'uomo, attraverso il quale – e in ciò che verrà dopo di lui – giunge a "prendere coscienza di sé", producendo e realizzando possibilità di manifestazione infinite sia sul piano fisico e materiale che su quello psichico e coscienziale.

Tutte le forme di esistenza, sia a livello fisico e materiale che di conseguenza anche psichico e coscienziale, derivano dunque dialetticamente dal cammino evolutivo dello spirito che diventa materia e della materia che produce coscienza: in quest'ottica sostanziale di "reincarnazione infinita" di tutte le forme di vita e di esistenza cosmica, la stessa la morte fisica e materiale, in quanto dissoluzione di forme provvisorie inserite in questo processo di trasformazione continua, è quindi solo un passaggio da una dimensione di esistenza ad un'altra, consentendo in tal modo la manifestazione sul piano fisico di livelli di coscienza via via più evoluti, che derivano le proprie qualità e caratteristiche dai livelli di esistenza precedenti, i quali forniscono la base e il "materiale da costruzione" per la manifestazione e la comparsa delle forme successive, sia a livello fisico che anche psichico e spirituale.

E' questa infatti la legge dell'evoluzione, o più precisamente la legge del karma, che rappresenta per l'appunto il "materiale da costruzione" della creazione stessa, nella quale non esiste quindi una creatio ex nihilo (e lo stesso Big Bang iniziale, in tal senso, ci appare più come una polarizzazione dialettica di una possibile "perfezione del Nulla" ad esso antecedente che come una singolarità inconoscibile, o addirittura fortuita, ab origine), e tutto deriva da una serie di esperienze e di stadi di esistenza progressivi: come quindi la coscienza e la materia si autoproducono nel corso del cammino evolutivo, così anche il Divino, in quanto perfezione e possibilità di perfezione incessanti, continuamente "produce se stesso" trasformandosi da potenza in atto e attualizzandosi nella creazione come processo infinito di autocoscienza cosmica e universale.

Dio dunque non è una persona, non è un'ente, non è uno stato ma è un processo: come "la mappa non è il territorio", così Dio non è uno stato ma un processo continuo di autoespressione e autorealizzazione universale, tendente verso l'autocoscienza.

Egli infatti è il processo di perfezionamento infinito della materia che si autoproduce, e in questo modo produce coscienza, e producendo coscienza "entropicamente" si autoconsuma e si autovanifica, rendendo inutili e vane le forme precedenti – se non come "materiali da costruzione" per le forme successive -  e vanificando così, con il tempo, l'intero creato e la stessa coscienza, la cui validità non è fine a se stessa ma unicamente finalizzata alla creazione di stadi di esistenza successivi. 

Un po' come dire, quindi, che Dio stesso "si costruisce da sé", e che la creazione stessa "si divinizza" attraverso il processo di autocoscienza messo in atto dalle infinite forme e possibilità di esistenza cosmica e universale: e la famosa frase marxiana (che in realtà è di Feuerbach) secondo la quale "non è Dio ad aver creato l'uomo, ma è l'uomo ad aver creato Dio" assume quindi, in tal senso, un significato diverso e profondamente "ontologico", che – pur senza negare necessariamente a priori la possibilità di un'entità trascendente alla base - ne riporta l'azione, entro la sfera del manifesto, all'interno di un processo immanente di evoluzione continua su tutti i piani dell'esistenza, dal più grossolano al più sottile… e probabilmente anche oltre.

E una volta giunti alla "perfezione del Tutto" (intendendo con ciò la manifestazione, l'espressione e la realizzazione infinita di tutte le possibilità di questa energia spirituale in azione, srotolate attraverso quel percorso di materializzazione dialettica dello spirito che diventa materia e della materia che produce coscienza che chiamiamo "evoluzione", o più precisamente karma) l'intera creazione ritorna nel Nulla, che la riassorbe e la dissolve non come "fine ultimo della storia" ma come antitesi dialettica della perfezione raggiunta, che come tale si ribalta nel suo opposto dando vita così alla qualità contraria.

Per questo il dio Shiva, artefice della Dissoluzione Universale, quando suona la sacra conchiglia incendia i pianeti, le stelle e le intere galassie, incenerendo ogni cosa e azzerando l'eone: perché la creazione è compiuta, e una volta compiuta dissolve se stessa e Dio stesso con lei.


Dal principio della Sua Creazione non è stato che un sogno.
(Rav Simon ben Laqish)

Pierluigi Gallo Ziffer
Roma, 27 Novembre 2015

 
Post Scriptum

Quanto sono belle queste dotte parole, davvero un'esposizione sapiente di verità profondissime...

Ma quando mi raccolgo in silenzio e in meditazione profonda (qualcuno sa che significa questa dimensione interiore?), quando mi metto in ginocchio e mi metto a pregare (si può ancora usare questa parola, o è divenuta blasfema?), quando le difficoltà della vita o l'aspirazione interiore mi spingono a rivolgermi a Dio (posso ancora scrivere queste tre piccole lettere, o è politicamente scorretto?), io mi domando in cuor mio:

"E' veramente così necessario rinnegare la fede per apparire moderni?"

Non sto ritrattando ciò che ho scritto finora (anche perché ci credo davvero, ovviamente), ma lo sto solo integrando: nella speranza che un giorno, chissà, si riesca finalmente a trovare la quadra e a conciliare fra loro trascendenza e immanenza, fede e scienza, sentimento e ragione.

I miei studenti lo aspettano da troppo tempo, oramai, e sarà certo un bel giorno, se e quando accadrà... un giorno, forse, nemmeno così tanto lontano, se dovessi credere anch'io all'affermazione emblematica dell'antico Maestro di Galilea, quando sulle rive del lago di Tiberiade si rivolse alle folle dicendo: "Non sta forse scritto, voi siete dèi?" (PGZ)