Perché non sono evoliano


 
CONFONDERE IL TRADIZIONALE CON IL REAZIONARIO
E' UNO DEI CRIMINI CULTURALI PIU' GRANDI
(ANTONELLO COLIMBERTI)

Scopo di questa breve disamina, ancorché del tutto frammentaria e incompleta, è compiere una sommaria analisi della concezione filosofica del principale esponente del cosiddetto "tradizionalismo integrale" - il barone siciliano Julius Evola - e dei motivi per cui, nella mia sostanziale ignoranza, personalmente la ritengo errata: malgrado la complessità e la varietà delle sue posizioni, è a questo autore che guardano infatti molti cultori di scienze esoteriche e tradizionali, ed è bene quindi fare un po' di chiarezza sui principi di fondo della sua dottrina.

In breve, ma molto in breve, posso dire infatti che il tradizionalismo integrale di stampo evoliano (che si ispira ai principi supremi di gerarchia, autorità  tradizione) presenta una concezione trascendente del sacro che nega a priori ogni possibile ipotesi immanente, facendo risalire a un tempo mitico originario, quello della cosiddetta "tradizione primordiale", una ipotetica età dell'oro a carattere metastorico, di natura divina e sovrannaturale, in cui  gli déi vivevano ancora sulla terra ed esisteva un legame diretto fra essi e l'umanità delle origini: da ciò sarebbero successivamente decadute tutte le ulteriori fasi storiche, in un processo di involuzione progressiva dell'umanità che avrebbe reciso il legame dell'uomo con il sovrannaturale, per arrivare fino alla presente età della "sovversione" escatologica definitiva, destinata alla dissoluzione finale e alla conclusione dell'attuale ciclo cosmico, cui seguirà in futuro l'inizio di un nuovo eone, secondo una concezione propria di molte culture antiche extraeuropee, nonché della stessa classicità greco-romana.

Questa dottrina appartiene, come ho detto, a molte tradizioni sapienziali del passato, ed è rappresentata nella sua veste più autorevole dall'idea induista di kaliyuga, di grande rilevanza spirituale e metafisica: pur non intendendo dunque sminuire in alcun modo questo pensiero mitico, che è alla base della visione del mondo indoeuropea, personalmente ritengo tuttavia che un'adesione acritica della cultura moderna - e segnatamente occidentale - a tale concezione del mondo (come fa Julius Evola, e con lui molti altri esponenti del cosiddetto "mondo della tradizione") sia per certi versi parziale, se non fondamentalmente errata.

Non mi sento infatti di condividere - perlomeno non in maniera unidirezionale ed esclusiva - né l'ipotesi involutiva della storia umana, né l'idea trascendente della realtà divina, né la concezione rigidamente élitaria della conoscenza iniziatica, da Evola variamente propugnate: e quando dico "non in maniera unidirezionale" intendo dire che tali credenze non sono per me errate o discutibili in quanto tali, ma solo nella loro unidirezionalità e univocità.

Voglio dire, con questo, che la mia visione è dialettica, tesa cioè a confrontare e mettere in relazione fra loro gli opposti, e nello stesso tempo è immanente, volta cioè a ricercare il divino nell'uomo e nella storia; di conseguenza è anche in qualche modo evolutiva, tesa cioè a immaginare un progresso incessante della vita, della coscienza e della materia stessa, nonché per certi versi potenzialmente democratica, volta cioè a credere nella possibilità di autodeterminazione dei singoli e dell'intera umanità.

Ora queste quattro parole, dialettica, immanenza, evoluzione e democrazia  (seppure da me intese in modo molto diverso rispetto allavulgataprogressista corrente - soprattutto l'ultima), non sono in realtà molto apprezzate dal pensiero tradizionalista di matrice aristocratica e reazionaria, cui riconosco senz'altro valore culturale e intellettuale ma da cui mi separa, per l'appunto, una concezione del mondo per molti versi opposta.

Per fare solo un esempio, la concezione esoterica di un Rudolf Steiner sulle diverse età dell'umanità, e la compresenza in essa di un elemento "involutivo", inteso come allontanamento da una fase di veggenza collettiva primordiale, accanto a uno "evolutivo", inteso come scoperta nell'uomo dell'Io individuale (che cito qui solo en passant, ma su cui intendo soffermarmi più diffusamente in futuro), sarebbe a mio avviso ben più interessante a riguardo, poiché integra e supera sia le rigidità tradizionaliste che quelle evoluzioniste, gettando così le basi per una ricerca di più ampio respiro: e così è anche per le idee di Jung sull'inconscio collettivo, nonché per quella sorta di pandit acquariano di alto livello che è stato Sri Aurobindo, maestro di quella futura "nuova coscienza" planetaria di cui la  new age attuale non è che una pallida imitazione.

Questi autori infatti - al contrario di Evola - hanno portato avanti quella ricerca sincretica e olistica alla quale mi ispiro anch'io nel mio piccolo, tentando di unire fra loro tradizione e innovazione, modernità e antichità, pensiero mitico e ricerca scientifica, venendo meno così sia alla sostanziale rigidità di un tradizionalismo univoco e unilaterale, sia alla parallela intransigenza dei dogmi scientisti e razionalisti del materialismo contemporaneo.

Per tutte queste ragioni, e molte altre ancora, non posso quindi considerarmi evoliano, quantunque riconosca al suo pensiero il grande merito di averci ricollegato alla Tradizione e alle sue categorie sapienziali: ma un grande merito, a volte, porta con sé un grande limite, che in questo caso consiste, a mio parere, nella sua adesione inconsapevole a quella forma di gnosi "luciferica" (nel senso specifico del termine) di cui parla Steiner, solo in apparenza contrapposta all'altrettanto pericolosa espressione di  materialismo "arimanico" cui siamo ormai tutti preda in questo tempo malato.

Ma qui il discorso si fa più complesso, dovendo prendere in esame più da vicino i concetti stessi di Tradizione e Rivoluzione in senso esoterico e spirituale, oltre che filosofico e politico: lo riservo dunque a una prossima occasione, nella speranza poi che la dialettica storica renda possibile un giorno di superarli entrambi.

Roma, 4 Dicembre 2015
https://www.pierluigigallo.org/web/2016-03-18-17-49-41/risonanze/209-perche-non-sono-evoliano

 

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