CODA DI LUPO


ANTAGONISMO NO GLOBAL E MENTALITA' NON CONFORME:
FIGLI DEL CASO O DELLA DIALETTICA STORICA?

 

"Non dobbiamo batterli, ma combatterli" (dal film Braveheart)

 


Questa brevissima riflessione en passant sulla situazione politica contemporanea costituisce solo un tentativo parziale di fare un po' il punto intorno a quella tematica fondamentale rappresentata dall'antagonismo di Sinistra e di Destra nei confronti dell'estabilshment dominante fin dalla metà degli anni Settanta in Europa, che con la successiva apparizione in America del cosiddetto movimento no global (sostituito in Italia da quella ridicola imitazione nostrana costituita dalla meteora grillina, ormai estinta) ha portato alla fine di molte illusioni e al crollo di molte speranze, non solo in Italia ma un po' in tutto il mondo: vediamo quindi di interrogarci un po' meglio sul senso profondo di questa esperienza con qualche considerazione un po' amara, ma tuttavia necessaria.


E al Dio degli Inglesi non credere mai.
(Fabrizio de Andrè, Coda di Lupo, 1978)

1. La Sinistra

 

Per avvicinarci a cerchi concentrici verso il nucleo centrale del nostro ragionamento, teso a contestualizzare ciò che abbiamo definito come "movimento no global" (da un lato) e "mentalità non conforme" (dall'altro) all'interno di una più ampia dinamica della dialettica storica contemporanea, dobbiamo partire da una riflessione generale sulla Sinistra, non solo in Italia ma in tutto il mondo, non solo al presente ma anche al passato, e per farlo dobbiamo necessariamente cominciare da Marx: piaccia o non piaccia, infatti, il suo pensiero, sebbene sconfessato dai molti revisionisti presenti nel mare magnum del progressismo internazionale, è il maggior referente filosofico e intellettuale in materia, e prescindere da esso è praticamente impossibile.

Partiamo dunque dalla critica di Marx alla democrazia liberale, da lui definita come "formale" in opposizione a quella "sostanziale" o "diretta" di origine rousseauiana (sperimentata per la prima volta in occasione della Comune di Parigi del 1871 e da lui riproposta come modello della futura società socialista): poiché infatti per Marx le varie forme di Stato succedutesi nella storia non rappresentano altro che la manifestazione "sovrastrutturale" di una sottostante "struttura" economica, basata sui rapporti di produzione e dunque sull'affermazione della classe produttiva in ascesa, divenuta a sua volta classe dominante, la democrazia parlamentare borghese non è, secondo lui, che una forma mascherata di oppressione, posta a tutela degli interessi di classe, in questo caso degli interessi borghesi (presto tuttavia trasformatisi, dopo il superamento dell'opposizione borghesia-proletariato operato nel secondo dopoguerra, negli interessi economici del capitalismo assoluto, che, ormai sciolto da ogni vincolo, si è pienamente affermato a livello planetario nella presente "età della globalizzazione").

Tale apparente democrazia formale, secondo Marx, si pone dunque come universale ma è intrinsecamente egoista, tutela a parole l'interesse comune ma difende unicamente l'interesse privato, si riempie la bocca con i diritti dell'uomo ma rende l'individuo schiavo del modello culturale dominante, manipolandolo fin dalla nascita attraverso una raffinata forma di controllo delle coscienze e manovrandone i comportamenti attraverso un'astuta tecnica di creazione del "consenso": tale è infatti la vera natura della "democrazia rappresentativa" di stampo liberale, tale è il vero volto della democrazia borghese, che Marx rifiuta in blocco in quanto impedisce alla massa proletaria di prendere coscienza della propria forza dialettica e di giungere così a quella radicale "trasformazione dello stato di cose presente" cui egli dà il nome di comunismo (vogliamo tuttavia precisare, a questo riguardo, che il termine "proletario" non ci interessa in questa sede in quanto tale, ma solo nel suo senso più ampio di "anticapitalista" in senso lato).

Ma questa sua riflessione, di portata rivoluzionaria nella storia mondiale fra Otto e Novecento, non ha avuto successivamente gran seguito: caduto in disgrazia il suo pensiero, caduti in disgrazia i regimi dell'Est, cadute nel dimenticatoio le riflessioni sulla natura totalitaria delle democrazie occidentali, operate nel '68 dalla Scuola di Francoforte (Marcuse in testa) e dai suoi epigoni italiani (come lo scomodissimo, soprattutto a Sinistra, Pier Paolo Pasolini), i progressisti contemporanei, in Italia e all'estero, hanno ben presto sposato in massa la causa del riformismo "revisionista", trasformandosi così nei migliori esponenti, rappresentanti e alleati - una volta cessata l'opposizione otto-novecentesca fra borghesia e proletariato - degli interessi di classe del capitalismo assoluto.

Come intendere diversamente, del resto, i successi mediatici dei vari telegiornalisti à la page, nonché del "compagno onorevole" di turno, se non come tutte espressioni diverse di quel medesimo status di "buon democratico", che permette loro di assestarsi saldamente, a vario titolo, nei salotti buoni del capitalismo intellettuale, riscattandosi così delle proprie (eventuali) origini proletarie ed emancipandosi definitivamente dai modi rozzi e primitivi del radicalismo?

Borghesia rossa, scavati la fossa: era questo del resto uno slogan trasversale negli anni Settanta, che riprendendo e rilanciando le riflessioni rivoluzionarie del '68 sulla natura intrinsecamente capitalista dell'estabilshment progressista coevo (il riferimento è al PCI, ovviamente, ma si tratta di una componente che è dilagata dovunque, anche nella stessa Sinistra extraparlamentare italiana), individuava nella lobby culturale e politica liberal chic il vero pericolo e il vero nemico da battere – se non addirittura "da abbattere" – per la concreta affermazione della prassi rivoluzionaria.

E così vennero gli "anni di piombo", e il radicalismo anticapitalista di Destra e di Sinistra (ormai definito come "antidemocratico" e bollato col marchio d'infamia non tanto e non solo per le sue azioni violente, effettivamente tali, quanto piuttosto per aver messo in discussione il dogma istituzionale "democratico" nelle sue varie manifestazioni, riformiste o conservatrici che siano) si è lanciato in una lotta suicida, oltre che decisamente omicida, lasciando così una inutile e crudele scia di morti sul campo: inutile, oltre che crudele, perché del tutto priva di una riflessione filosofica, ideologica, politica e (perché no?) metafisica a monte sulla vera natura e sulle vere cause di questa forma di allucinazione collettiva, basata sul consenso delle coscienze, che denominiamo e accettiamo ormai pressoché in modo unanime sotto la definizione comune di "democrazia".


2. La Destra

Un percorso analogo, seppure con premesse opposte, è stato compiuto nel corso degli anni anche dal radicalismo di Destra: sulla scia di alcuni fra i suoi più rappresentativi ideologi (fra tutti i francesi René Guénon e Alain de Benoist, ma soprattutto l'italiano Julius Evola, il "filosofo proibito", il cui pensiero sarà destinato nel dopoguerra alla damnatio memoriae da parte della cultura antifascista italiana, con l'unica, timida ma significativa eccezione di Massimo Cacciari), la riflessione della Destra radicale sulla democrazia parlamentare moderna, e soprattutto sulle forme da essa assunte nell'Italia contemporanea, è sempre stata di un'assoluta e definitiva condanna, senza alcuna possibilità di appello.

Questa condanna non proviene però, in questo caso, da una posizione rivoluzionaria o "giacobina", bensì da una concezione reazionaria e "ghibellina", potremmo dire, di matrice sostanzialmente aristocratica e antimoderna: la democrazia, il liberalismo, il capitalismo e lo stesso comunismo sono infatti tutti aspetti diversi, secondo il pensiero tradizionalista di Destra, di quel medesimo processo di decadenza dei valori tradizionali dell'Occidente (se non del mondo intero) da esso definito come "Sovversione materialista e rivoluzionaria", i cui veri responsabili – come anche in Marx, ma secondo una prospettiva opposta – sono i valori borghesi del denaro, del possesso e dell'usura (successivamente sostituiti, nel processo di evoluzione post-borghese del capitalismo moderno, dai principi edonistici del piacere, dell'individualismo e del ribellismo di massa, abilmente adoperati dal capitale globale per la trasformazione definitiva dell'essere umano in merce, superando in tal modo tutte le precedenti distinzioni di classe). 

Lo stesso riferimento al famigerato "complotto pluto-giudeo-massonico", cavallo di battaglia di tutte le Destre e specialmente di quelle europee alla vigilia e durante la Seconda Guerra mondiale, si riferisce sostanzialmente alla natura borghese (ieri) e capitalista (oggi) di questi "poteri forti", intesi come vere e proprie entità sovrannazionali: l'alta finanza sotto il profilo economico, il giudaismo internazionale sotto quello culturale e la massoneria sotto l'aspetto politico rappresenterebbero infatti, per l'ethos nazionalista, aristocratico e tradizionalista del radicalismo di Destra, l'espressione più alta dell'internazionalismo capitalista (solo in apparenza contrastato, in questo processo inarrestabile di progressiva decadenza, dall'analogo e complementare internazionalismo proletario), cui si deve l'origine stessa della disgregazione delle diverse culture e istituzioni tradizionali del pianeta, di cui il modello democratico parlamentare è lo strumento principe di controllo e di dominio.[1]

E' alla borghesia capitalista che si deve infatti, secondo il pensiero tradizionalista di Destra, l'origine del processo di decadenza universale originatosi con la rottura dell'ordine metafisico stabilito dalla Tradizione: esso ha portato, con la fine del mondo feudale e l'avvento dell'Umanesimo e del Rinascimento, alla comparsa della hybris intellettuale e della presunzione razionalista nella vita interiore dell'uomo, mentre la nascita dell'economia monetaria nell'età comunale ha causato, nella vita sociale, la perdita di ogni equilibrio e stabilità "di casta", consentendo la mobilità sociale e provocando così la perdita di quell'unità di "religione, di suolo e di sangue" che sola garantiva l'ordine cosmico secondo i principi trascendenti della Tradizione primordiale.

Anche in questo caso, dunque, il capitalismo rappresenta il vero nemico da battere, ma non già – come in Marx – per procedere dialetticamente verso l'affermazione dell'"uomo nuovo" tramite la dittatura del proletariato (cui seguirà finalmente una società comunista libera dalle classi e da ogni forma di ordinamento statale), bensì per chiudere definitivamente il cerchio del cosiddetto kali yuga, l'ultima degenerata "età di ferro" nel grande ciclo dell'involuzione cosmica, tramite la vittoria finale delle forze tradizionali su tutte le forme di liberalismo, di capitalismo e di comunismo e la conseguente "rettificazione" escatologica, che ristabilirà i principi originari di "gerarchia, autorità e tradizione" alla base della vita sociale e spirituale dell'umanità rinnovata.

Comunque la si pensi, il radicalismo di Destra e quello di Sinistra convergono entrambi, in definitiva, nell'individuazione del nemico comune: la borghesia capitalista moderna, in tutti i suoi vari aspetti economici, politici, sociali, culturali, spirituali e metafisici, la cui natura transeunte è del resto la ragione principale della sua intrinseca fragilità. Come diceva infatti Marx, che cito a memoria, "il grande inganno della borghesia è quello di voler far credere di essere eterna, di voler eternizzare se stessa; ma la storia è dialettica, e quando una classe raggiunge l'apice della sua ascesa, l'intero processo si ribalta e comincia l'ascesa della classe subalterna e il declino di quella dominante".[2]

Si tratta dunque di una convergenza fra "opposti estremismi" decisamente interessante, di natura filosofica ancor prima che politica, non priva di importanti conseguenze anche ai fini del nostro discorso.


3. I movimenti antagonisti anti-globalizzazione

Dopo questa breve disamina delle due principali concezioni rivoluzionarie della contromodernità, entrambe accomunate da un'identica, radicale conflittualità nei confronti dello Stato borghese e delle sue varie articolazioni e manifestazioni capitalistico-globali, veniamo adesso a prendere in considerazione più da vicino la visione del mondo specifica di ciò che potremmo variamente definire come "movimenti antagonisti anti-globalizzazione", inquadrandola nel più ampio contesto della situazione italiana e internazionale e ponendola sullo scenario di fondo della crisi globale dell'economia capitalista contemporanea e dei suoi modelli politici e culturali di riferimento, primo fra tutti quello della cosiddetta "rappresentanza democratica parlamentare" e della sua presunta (e apparentemente indiscutibile) legittimità.

Il grande merito dei vari tipi di movimenti "antagonisti" e "non conformi" del Dopoguerra, in Italia e all'estero, è infatti, come vedremo, quello di aver creato le condizioni affinché, insieme con il dubbio su questa classe politica in particolare, si affermi nella coscienza collettiva dell'Occidente (e da lì in tutto il mondo) anche e soprattutto quello sulla legittimità o meno della democrazia parlamentare in quanto tale, riprendendo così da una parte il filo perduto della riflessione marxiana sulla vera natura del "dogma democratico" (inteso come strumento di oppressione delle coscienze e di tutela dell'interesse di classe) e dall'altra la fondamentale eredità metafisica della parallela riflessione tradizionalista, di natura diametralmente opposta, che considera invece la democrazia liberale come strumento principale di dissoluzione dell'identità dei popoli, compiuta ad opera della cosiddetta "Sovversione" mondialista moderna e rivoluzionaria.

Il fatto che queste due posizioni siano evidentemente incompatibili fra loro (perlomeno in termini di opposizione dualistica, il cui possibile superamento in senso dialettico rappresenta in realtà un processo futuro ancora tutto da definire) non impedisce tuttavia ad entrambe di evidenziare ben chiaramente – iuxta propria princicpia – le caratteristiche peculiari di quella Weltanschauung capitalistica (un tempo borghese ma divenuta ormai, dal '68 in poi, radicalmente antiborghese) che, dopo secoli di storia e di predominio culturale, economico e politico sull'Occidente e sull'intero pianeta, ha ormai probabilmente fatto il suo tempo.

Il fatto poi che questo processo di presa di coscienza collettiva stia avvenendo in maniera del tutto inconsapevole, ma tuttavia stia avvenendo, seppur lentamente e impercettibilmente, non toglie nulla alla portata storica di questa sfida incrociata alla democrazia liberale - se non addirittura alle basi stesse della modernità occidentale - che per suo tramite sta affiorando nel mondo sulla scia dei vari movimenti "antagonisti" e "non conformi" contemporanei (no global, indignados, occupy wall street, ecc.), che sul finire di questa lunga stagione del capitalismo mondiale si affacciano sulla scena di quella che potrebbe presentarsi probabilmente in futuro, a tutti gli effetti, come una nuova fase della dialettica storica rivoluzionaria.

Che cosa significhi tutto ciò, e quali conseguenze potrà comportare a breve, medio e lungo termine, è cosa difficile da stabilire: limitiamoci dunque, nel nostro piccolo, a una breve disamina di ciò che abbiamo un po' confusamente definito come "antiglobalismo contemporaneo", per individuare quei tratti e quelle caratteristiche specifiche che possono in qualche modo ricondurli entrambi, direttamente o indirettamente, nel più ampio complesso del nostro discorso.


4. Evoluzione e sviluppo del movimento no global

 

L'azione di ciò che chiamiamo "antiglobalismo non conformista" non nasce del resto, né in tutto né in parte, dal vuoto o dal nulla: essa è invece figlia di quel vasto e composito movimento di idee - solo in parte e solo superficialmente ritenuto "progressista" - sorto intorno alle tematiche della lotta alla globalizzazione esplose a Seattle nel Novembre 1999 e variamente denominato come no global, antimondialista, altromondialista, globalcritico, ecc., a indicare la diversità delle posizioni in esso presenti, proprie sia della Sinistra che della Destra radicali, sia addirittura della cultura new age o di quella cattolica (senza dimenticare quel vasto, seppur minoritario insieme di gruppi e movimenti think different presenti all'interno dello stesso mondo ebraico, dentro e fuori lo Stato d'Israele).

Comune a tutte le componenti di questo movimento è infatti una critica radicale al liberismo, al capitalismo, alla globalizzazione e, seppur indirettamente, all'idea stessa di modernità, compiuta attraverso un recupero dei principi di "antagonismo" e di "comunitarismo" che coniuga fra loro istanze apparentemente antitetiche, sia di Destra che di Sinistra (entrambe intese, ovviamente, in senso radicale): lungi dunque dall'essere il frutto inconsapevole di un "ribellismo" ingenuo e anarcoide, il movimento no global si presenta invece come il risultato di una riflessione approfondita e articolata sulle radici e il senso della globalizzazione e dei suoi effetti planetari, compiuta nell'arco degli anni da personaggi di varia provenienza, come - fra gli altri - Naomi Klein, Noam Chomsky e Serge Latouche a Sinistra, Alain de Benoist, Pierre-André Taguieff e Maurizio Blondet a Destra.

Da esso provengono quindi, in varia misura, tutte quelle manifestazioni genericamente definite come "antagoniste" che periodicamente riaffiorano nel mondo occidentale, rivendicando il diritto all'autodeterminazione dei popoli e degli individui, in opposizione frontale al liberismo capitalista e - lentamente ma inesorabilmente - anche alla democrazia parlamentare tout-court: il movimento che si muove dunque genericamente in tal senso. con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, è uno di questi, e sebbene il suo background ideologico non sia evidente ai più (e forse nemmeno a se stessi) esso tuttavia si inserisce, consapevolmente o meno, in questo vasto insieme di riflessioni, considerazioni e "azioni spontanee" presenti nel più vasto mare dell'antagonismo contemporaneo, di cui condivide in varia misura i metodi, gli ideali e gli obiettivi.

Ma in che modo quest'ondata antagonista internazionale, e il movimento no global in particolare, possono essere definiti come espressioni di una cultura e di una visione del mondo a carattere sostanzialmente antisistema, e segnatamente anticapitalista? Cerchiamo di definire meglio, a questo punto. alcune caratteristiche specifiche di questo movimento, che ci permettono di ricollegarci più da vicino all'interrogativo originario di questa nostra riflessione.


5. Movimento no global e cultura antisistema

 

Uno dei cavalli di battaglia dell'antagonismo nostrano, così com'è espresso, ad esempio, dalla propaganda grillina contemporanea (unico suo merito, peraltro molto parziale, nel dare risalto a una tematica totalmente al di fuori dell'attenzione mediatica generale, che sarebbe stata altrimenti taciuta del tutto se non fosse stata riproposta con forza da Beppe Grillo e dai suoi adepti), è quello della sostanziale equivalenza e contiguità fra Centrodestra e Centrosinistra in Italia, caratteristica questa finora piuttosto inconsapevole ai più: il che non fa che esplicitare una riflessione evidente - talmente evidente da apparire banale - sulla natura fondamentalmente consociativa della classe parlamentare italiana, solo in apparenza divisa (da sempre, in realtà, ma in modo più evidente attualmente) fra i due poli della Destra e della Sinistra "democratiche", giungendo in tal modo a sancire un'identità sostanziale fra la Destra e la Sinistra parlamentari, che non va attribuita esclusivamente a un tipo di prassi contingente, dovuta a una sorta di degenerazione morale della classe politica nazionale, quanto piuttosto a una comune origine di natura ideologica, ancor prima che pratica, fra queste due parti politiche: l'appartenenza di entrambe, cioè, al mondo filosofico, culturale, economico e politico del capitalismo occidentale moderno.

La coscienza, del resto, di questa sostanziale identità fra progressismo e conservatorismo, fra riformismo e reazione, fra liberalismo e liberismo all'interno di quel più ampio gioco delle parti che caratterizza, per l'appunto, il cosiddetto grand jeu democratico del parlamentarismo occidentale postbellico (esportato come soft power occidentale, sotto la voce "diritti dell'uomo", in tutto il resto del mondo) non è affatto facile da accettare, soprattutto a Sinistra.

L'effetto maggiore dell'"illusione democratica", infatti, è proprio quello di dare l'impressione di essere duttile, elastica, fluida e mutevole – contrariamente alla rigida fissità dei totalitarismi espliciti – mentre si tratta invece, secondo i critici del parlamentarismo moderno, di una mera finzione: contrapposto solo in apparenza agli schemi chiusi delle società autoritarie del passato (rappresentate dai totalitarismi del Novecento, per intenderci), il modello virtuoso di "società aperta" alla Popper, che tanto successo ha avuto e ha tuttora in modo trasversale fra gli estimatori e i fautori del "mondo libero", non farebbe in realtà che trasferire il compito di recintare le masse (e le relative coscienze) dall'"uomo solo al comando" alla presunta "volontà popolare" collettiva, che di buon grado si predispone da sè, allineata e coperta, entro il recinto assegnatole dalla manipolazione capitalista.

Questo, e nient'altro che questo, sembrano dirci infatti le moltitudini di giullari di corte, di pennivendoli di regime e di imbonitori di sistema che affollano le scene giornalistiche e televisive del nostro tempo, con il compito di "creare" l'opinione pubblica e di orientarne le scelte, ora in un senso, ora nell'altro: quando serve la concertazione, il capitalismo massmediatico tira infatti dal cappello il "bravo compagno" amico del popolo, quando invece è il momento di far sentire il polso del padrone ecco saltar fuori dal cilindro il "liberista d'assalto" - e così via dicendo, in una sfilza di personaggi, ruoli e copioni diversi sull'identità dei quali, a Destra e a Sinistra, per mera decenza preferiamo tacere.

Per non parlare poi dell'industria del cinema, che viene usata e strumentalizzata coscientemente dalle varie lobbies nazionali e internazionali per orientare, indirizzare e manipolare la coscienza delle masse tramite un'adesione emotiva, sentimentale e inconsapevole ai luoghi comuni del "pensiero unico": e tutto ciò con il consenso entusiasta non solo del mondo conservatore o reazionario (che si potrebbe supporre, in qualche modo, espressione di questa cultura dominante di natura capitalista) ma anche – se non soprattutto – di quel sedicente mondo "progressista" che rappresenta, allo stato attuale dei fatti, l'espressione più potente, efficace ed efficiente del soft power occidentale in azione.

Vulgus vult decipi, ergo decipiatur, diceva infatti a suo tempo il cardinale Caraffa, che con malcelato cinismo così si esprimeva, nel lontano Cinquecento, sulla necessità di orientare e dirigere la coscienza degli individui tramite una sottile opera di persuasione e di condizionamento occulti. E come dargli torto, diversi secoli dopo? Il poliziotto buono e il poliziotto cattivo sono sempre esistiti, ma mai come ora, dopo la fine delle ideologie, sembrano funzionare al meglio: ad esssi il pensiero unico dominante assegna infatti le diverse parti, apparentemente contrapposte, da recitare sul palco del circo mediatico, e il pubblico imbelle beatamente risponde, plaudendo a gran voce l'eterna finzione e illudendosi d'essere egli stesso l'autore di un copione già scritto.


6. Il re è nudo

Ma tutto questo, fino a quando durerà? Chi, come, dove e quando si accorgerà finalmente che "il re è nudo"? Fino a che punto sarà possibile imbrigliare e costringere la dialettica storica entro gli angusti recinti dell'illusione di massa? E soprattutto – sempre e ancora si parva licet - qual è il ruolo in tutto ciò del fenomeno antagonista e di ciò che chiamiamo "pensiero non conforme"?

Pur se destinato probabilmente ad essere risucchiato anch'esso, in mancanza di una salda riflessione ideologica a monte, nel meccanismo consueto del grand jeu "democratico" (compravendita dei parlamentari, trasformismo, personalizzazione e spettacolarizzazione individuale nei talk show televisivi e nei salotti buoni dell'intellighentia radical chic, e via dicendo), oppure a sparire anch'esso definitivamente nel nulla, come tantissimi altri prima di lui, l'attuale fenomeno "non conformista", e in qualche modo antagonista e ribelle, nelle sue varie declinazioni possibili, dalle più interessanti alle più irrilevanti, rappresenta almeno un'espressione parziale di quella spinta dialettica verso il futuro superamento - e conseguente abbattimento in senso rivoluzionario effettivo - del sistema capitalista moderno e contemporaneo, che inevitabilmente sta premendo da varie parti e in varie direzioni sulla scena internazionale globale (in senso rivoluzionario certamente, ma non necessariamente in modo violento: anzi, il risveglio stesso di una "coscienza di classe" nella società globalizzata contemporanea, intesa anche qui, come in precedenza, nel suo senso genericamente anticapitalista e non specificamente "proletario" in senso stretto, come intendeva invece Marx, va in direzione opposta a un'ipotesi di lotta armata a carattere violento, sia perché gli attuali rapporti di forza planetari non lo consentono in alcun modo, sia perché esso si basa sul presupposto di una "democrazia dal basso" che dissolva, anziché rafforzarli, i meccanismi autoritari di un modello rigido di società chiusa: e l'importanza del web e dei suoi meccanismi nella nascita e nella diffusione di tali idee stanno lì a dimostrarlo).

Ancora manca, tuttavia, un orizzonte ideologico, filosofico e culturale di riferimento entro cui riconoscersi e verso cui indirizzare in maniera cosciente queste spinte dal basso, che premono già in maniera possente ma che non hanno ancora trovato uno sbocco (perlomeno non ancora in modo consapevole): ma per far ciò è necessario aver chiaro il contesto filosofico specifico entro cui tutto ciò acquista un senso, e per far questo dobbiamo quindi tornare, a questo punto, a definire più da vicino ciò che s'intende per "dialettica storica e prassi rivoluzionaria" nel più ampio complesso del nostro discorso.


7. Verso la" fine della storia"?

 

Quanto detto finora, infatti, rientra ancora nel campo del "contingente", ossia nel campo della volontà, più o meno cosciente a seconda dei casi, ma sempre mirata a ottenere questo o quell'obiettivo concreto e immediato, nel quadro di un determinato contesto storico, politico, economico e culturale di riferimento: al di sopra e al di fuori di ciò (se non soprattutto "attraverso" tutto ciò) si svolge invece la grande dialettica della storia, i cui movimenti sono molto più macroscopici e universali e delineano un telos più ampio entro cui ricondurre i fatti e le circostanze singole, relative e contingenti, dell'esistenza umana.

Ci riferiamo infatti, come qualcuno avrà capito, alla grande legge della dialettica hegeliana, secondo la quale, una volta raggiunto il suo massimo grado di espansione, un determinato fenomeno si trasforma nel suo opposto, dando vita così alla qualità contraria: da questa lotta perenne fra tesi e antitesi (cui segue necessariamente una sintesi, con l'effetto finale di negarle entrambe, per poi ripartire nuovamente con la creazione di una ulteriore triade dialettica) nasce dunque l'intera dinamica della storia umana, che rappresenta in forma triadica quel processo dialettico universale, altrimenti ingabbiato in un ristretto ambito dualistico, che sottintende ogni singolo aspetto dell'esistenza.

Marx lo descrive come processo di ascesa e discesa progressiva delle classi sociali, attribuendo al proletariato la missione profetica di condurre l'umanità alla "fine della storia" tramite l'eliminazione della divisione della società in classi e la dissoluzione definitiva di ogni forma di Stato: il pensiero tradizionalista di Destra, invece, identifica questo processo nel susseguirsi in senso involutivo, all'interno di un determinato ciclo cosmico, delle diverse età dell'uomo, che una volta raggiunto il punto più basso di decadenza possibile si ribaltano nel proprio opposto, tramite un'azione di "rettificazione" finale che determina così la conclusione dell'intero ciclo cosmico.

Ancora una volta abbiamo quindi una visione analoga – sebbene in direzioni diametralmente opposte – della dialettica storica, nel primo caso intesa in senso fisico-materialistico, mentre nel secondo in senso metafisico-spiritualistico: in entrabi i casi si giunge tuttavia alla fine della storia, ma ciò che in un caso è il medium coeli nell'altro è l'imum coeli, ciò che per gli uni è il sole di mezzogiorno per gli altri è il buio di mezzanotte, ciò che da una parte è la luce dell'avvenire dall'altra è la tenebra più fitta dell'oscurità presente, cui seguirà nuovamente l'alba.

Comunque la si pensi, il sistema capitalistico moderno – che rappresenta l'oggetto specifico di questo attacco concentrico e di questa offensiva incrociata di forze contrapposte, che premono congiuntamente, da presupposti diversi, verso una "trasformazione radicale dello stato di cose presente" – è destinato in futuro a sparire: dove, come o quando è solo questione di tempo e di circostanze specifiche, ma il dato innegabile è la sua inevitabile dissoluzione, come frutto ed effetto della dinamica stessa della dialettica storica.

E il ruolo svolto dall'antagonismo no global e dalla mentalità "non conforme" nell'incarnare attualmente lo Zeitgeist (lo Spirito del Tempo) nel mondo contemporaneo, è posto qui a ricordarcelo.

 

Io non voto, perchè non credo più, da tempo, alla democrazia rappresentativa. In questo senso ho scritto, nel 2004, anche un libro, Sudditi. Manifesto contro la Democrazia.
Detto questo quel che mi auguro (…) che questa classe dirigente, comprendendo in essa i suoi lacchè giornalisti e massmediatici, responsabile da almeno trent’anni di un disastro che prima ancora che economico è sociale ed etico, venga spazzata via, se non proprio immediatamente nel giro di pochi mesi. Con le buone ma anche, se necessario, con le cattive.
Ciò che avverrà dopo non lo sappiamo. Ma, come ha detto [giustamente qualcuno], meglio un salto nel buio che un suicidio assistito. (Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano, 24 Febbraio 2013)


Epilogo

 

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma, a Little Big Horn,
capelli corti-generale ci parlò all'Università dei fratelli tute blu che seppellirono le asce:
ma non fumammo con lui, perché non era venuto in pace (…).
(Fabrizio de Andrè, Coda di Lupo, 1978)

 

Quando, nel lontano 1977, Luciano Lama e il suo seguito, in cerca di consensi tra le fila del Movimento Studentesco, furono cacciati a forza dall'Università di Roma, per mai più ritornare, fu per molti l'avverarsi di un sogno: che cioè finalmente si aprisse in Italia un fronte preciso - e deciso - tra riformisti e perbenisti, da una parte, e antagonisti e rivoluzionari dall'altra, e che all'insegna del politically correct dei primi e del not in my name dei secondi si scavasse finalmente un solco invalicabile fra due concezioni della realtà contrapposte, e terminasse per sempre l'equivoco.

Questo sogno, però, durò poco, e il risveglio fu particolarmente amaro: il terrorismo autoritario delle BR, infatti, trascinò con sé nell'abisso anche quel ramo dell'antagonismo italiano che non voleva schierarsi "né con lo Stato né con le BR" (come si diceva allora) e che naufragò così, nella palude del "grande nulla" degli anni '80 e successivi, come s'inabissa un sasso nell'acqua - rapido, veloce e senza appello.

Facile quindi immaginare con quanta gioia e profonda speranza fu salutato il comizio di Grillo e dei Cinque Stelle in piazza San Giovanni a Roma, nel febbraio del 2013, da quanti negli anni Settanta si trovarono in prima linea a contrastare l'arroganza di PCI e CGIL nel voler dirigere, pilotare e manipolare il Movimento Studentesco coevo: e ancor più facile è in realtà immaginare con quanto pathos e partecipazione furono visti, a suo tempo, i "grillini" smarcarsi alla grande dall'abbraccio mortale di Gargamella-Bersani, che tanto somigliava al tentativo di Lama, lasciando il PD con le pive nel sacco a tramare e cospirare da solo, senza nessuna possibilità di manipolare alcunché, così come un tempo il PCI non riuscì a penetrare tra le fila del Movimento degli Studenti e ne fu cacciato a gran voce.

Ma quando ieri (15 giugno 2014) abbiamo saputo della proposta di Grillo a Renzi per un incontro e un patto per stabilire le linee comuni della futura riforma elettorale, ogni speranza è svanita, e questo movimento si è rivelato alla fine per ciò che realmente è: un'appendice nascosta dello stesso PD, ad esso contigua e quantomai funzionale, utile solo per ingrossare le fila del "consenso ottimista" che sta cavalcando oggi il premier, novello Bergoglio sulla via di Damasco, felice di essere il "personaggio del giorno", circondato da folle osannanti, fra cui i Cinque Stelle non sono che l'ultimo, clamoroso e plateale acquisto.

Questo spiega dunque il motivo del nostro sconcerto di fronte alla fine di tante speranze, legate non tanto al Movimento di Grillo in se stesso (di cui, in fin dei conti, non ci interessa alcunché) quanto piuttosto alla possibilità che una vera opposizione rinasca finalmente in Italia: questo spiega lo sconforto e la delusione profonda provata da chi, come noi, ha vissuto negli anni Settanta e ha sperato, o si è illuso, che una simile età risorgesse di nuovo.

Ma il problema italiano, in realtà, non è né politico né sociologico, bensì semplicemente e squisitamente antropologico: come infatti i pellirosse sono scomparsi nell'ombra, e con essi gli aztechi, gli olmechi e tutti i popoli e le civiltà del passato, così anche i combattenti di ieri sono spariti nel nulla, e sulle loro speranze deluse il sole è tramontato per sempre.

Sic transit gloria mundi.

 

Quando tutto è iniziato ci chiedevamo perché, ora che è tutto finito io mi domando: "per chi?"
(comunicazione personale di un ex-militante antagonista)

 

Pierluigi Gallo Ziffer
Roma, 16 Giugno 2014

 

[1] Uno dei grandi limiti dell'interpretazione tradizionalista e reazionaria rispetto a fenomeni quali la massoneria e il giudaismo è la prassi esclusiva da essa adottata nell'accostarvisi dall'esterno, applicando cioè a tali questioni le proprie visioni del mondo e le proprie prospettive ideologiche pregiudiziali, senza alcun interesse (se non strumentale) verso una comprensione effettiva delle altrui Weltanchauungen: se fosse invece avvenuto un seppur minimo tentativo di identificazione reale con questi due mondi, teso a raggiungere una comprensione concreta delle categorie di pensiero "nemiche", tanti fraintendimenti, conflitti e tragedie scatenatisi prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale non sarebbero sorti, se non in maniera dialettica e costruttiva, ancorché probabilmente serrata. E ciò non si applica solo all'ormai secolare questione dei "Protocolli di Sion", che tutti conoscono: si veda anche, ad esempio, il molto più ignoto fenomeno dei "bandieristi" italiani, ebrei repubblicani e massoni aderenti al Fascismo, da esso prima accettati e valorizzati in quanto risorgimentali e anticomunisti, ma poi abbandonati e traditi in seguito all'accoglimento supino (nonché decisamente fattivo) delle leggi razziali hitleriane: è solo un caso, fra i tanti, dell'incomprensione profonda del pensiero tradizionalista di Destra rispetto alle diverse tematiche della Modernità e alle loro varie declinazioni specifiche, un'incomprensione spesso viziata da facili luoghi comuni e da posizioni pregiudiziali e dogmatiche prive di fondamento effettivo.

[2] Cfr. a riguardo K.MARX, F.ENGELS, La guerra civile in Francia, in Idem, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1971, e Idem, Opere complete, vol. XVI, Editori Riuniti, Roma 1983.

 

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